«Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative a spese di quella fattuale, che gli provvede solo il materiale grezzo.»
Umberto Eco, L’effetto Kulesov e l’orso che ride, 1989
Difficile parlare di Umberto Eco senza essere banali. Difficile inquadrare una figura così “liquida” (per usare le parole di Bauman), inventore della semiotica accademica, filosofo e intellettuale (spesso citato a sproposito), ma allo stesso tempo grandissimo autore di best seller di fama mondiale e saggista ironico, arguto, curioso, vivace e intelligentissimo mescolatore di alto e basso.
Dalla Fenomenologia di Mike Bongiorno (articolo contenuto in Diario minimo) all’acutissima analisi dei fenomeni culturali di massa e dei media nella pietra miliare Apocalittici e integrati lo scrittore alessandrino è riuscito, trasversalmente, a toccare tutti gli ambiti della comunicazione, dedicandosi con uguale passione alle strutture narrative letterarie come ai fumetti (era fan di Dylan Dog che nel numero 136 gli dedica un omaggio), alla serialità televisiva come alla storia medievale, all’estetica (mirabili le sue Storia della bellezza e Storia della bruttezza) come alla politica internazionale.
Naturalmente tutti si ricorderanno del suo successo internazionale più celebrato, lo straordinario giallo medievale Il nome della rosa entrato nell’immaginario collettivo anche grazie al Gugliemo da Baskerville interpretato da uno splendido Sean Connery nell’omonima trasposizione cinematografica di Jean- Jacques Annaud (1986), ma tra i titoli firmati dal professore ci sono altri tesori da riscoprire. Come non citare, ad esempio, Il pendolo di Foucault, preziosissimo scrigno di segreti alchemici e cabalistici ambientato nelle Langhe, ben prima che le sciatterie a stelle e strisce di Dan Brown andassero a scomodare templari e massonerie.
Impossibile che il cinema non ricoprisse un ruolo importante nella bulimia culturale di Eco, che infatti scrisse molto sull’argomento: tra le sue opere a tema, firmò insieme a Oreste Del Buono uno studio sulla figura di James Bond (Il caso Bond. [Le origini, la natura, gli effetti del fenomeno 007) vista naturalmente come fenomeno culturale. Più recentemente, Eco si era detto positivamente impressionato, anzi addirittura sotto shock, dopo la visione del monumentale capolavoro postumo Hard to be a God del russo Aleksej German, a proposito del quale aveva scritto: «È probabilmente difficile essere un Dio ma è altrettanto difficile essere uno spettatore, di fronte a questo terrorizzante film di German […]Tale è la nostra situazione (o almeno così a me è accaduto) vivendo nell’inferno di German, e quasi sempre l’orrore ha prevalso sulle capacità di distacco. Non si può vivere in questo inferno, fatto di intolleranza e persecuzione, e di disgustanti crudeltà, senza avere la sensazione inquietante che de te fabula narratur. Forse questo film parla di noi, di quello che potrebbe accaderci, o di quello che sovente ci accade, sia pure sotto forme più blande e meno fisicamente orripilanti […] In ogni caso buon viaggio all’inferno. Certamente a petto delle ossessioni di German i film di Quentin Tarantino sono fiabe di Walt Disney».
Con buona pace dei fan del caro Quentin, alla ribalta in questi giorni con il suo The Hateful Eight.
Il nostro modo per omaggiare Eco sarà, in ottemperanza alle sue recenti dichiarazioni poco affettuose sui social network e i suoi utenti, quello, per un giorno, di chiudere il pc e aprire un libro, perché in questa vita da forzatamente integrati, qualche ora da apocalittici non può fare che bene.
Grazie, professore.