Super ospite della 36ª edizione del Bergamo Film Meeting, Liv Ullmann nasce il 16 dicembre 1938 a Tokyo, dove il padre, ingegnere aeronautico, si era trasferito per lavoro. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, per paura dell’invasione nazista, la famiglia si trasferisce prima a Toronto e poi a New York e quando, nel 1945, il padre muore, Liv, in compagnia della madre e della sorella, ritorna in Norvegia. Dotata di sensibilità e intuito, nonché di fantasia e immaginazione, fin da ragazza è attratta dal teatro, dalla pittura e dalla poesia. Decide di iscriversi alla Webber Douglas Accademy di Londra, dove può dedicarsi anche alla sua seconda passione: il cinema. Dopo l’esclusione dall’accademia teatrale di Oslo, viene arruolata da un piccolo teatro di provincia, il Rogaland Teater di Stavanger, per interpretare la parte di Anna Frank, ottenendo successo di pubblico e di critica. Dal 1960 recita in ruoli importanti, come Ofelia nell’Amleto e Margarete nel Faust, per il Teatro Nazionale di Oslo.
Nel 1965 avviene l’incontro con Ingmar Bergman. Il regista svedese sta cercando due attrici per il film Persona ed è attratto da una fotografia di Bibi Andersson, con accanto una giovane attrice. Dopo pochi giorni le due sono sull’isola di Fårö per le riprese del film: Liv interpreta il ruolo di Elisabet Vogler, un’attrice sulla quarantina che improvvisamente perde la capacità di parlare. Verità e finzione, angoscia, tormento, solitudine, aggressività subita, nevrosi, ma anche desiderio di emancipazione, orgoglio, ribellione: sono alcuni dei caratteri narrativi che plasmano i personaggi femminili dei film diretti da Bergman che vedono la partecipazione di Liv Ullmann. Dieci film che coprono un arco di tempo che va dal 1966 al 2003: tra di essi, veri e propri monumenti come L’ora del lupo, La vergogna, Passione, Sussurri e grida, Scene da un matrimonio, L’immagine allo specchio. I due sono stati insieme per un lungo periodo e hanno avuto una figlia, Linn, che, ancora bambina, interpreterà alcuni film del padre e diventerà poi una famosa scrittrice, tradotta anche in italiano. I primi film con Bergman permettono a Liv Ullmann di esprimere le sue straordinarie doti di attrice, con il suo sguardo penetrante e seduttivo, l’essenzialità del gesto e dei movimenti, la capacità di tenere la scena nelle diverse situazioni drammaturgiche, la disinvoltura nel reggere il confronto con l’occhio indagatore, dominante e possessivo come quello del regista svedese.
Oltre a lavorare con altri importanti registi, tra cui Jan Troell, Terence Young, Anthony Harvey, Juan Luis Buñuel, Sven Nykvist, Mario Monicelli e Mauro Bolognini, Liv Ullmann vanta anche una interessantissima carriera da regista che parte nel 1992 con Sofie e arriva, per ora, a Miss Julie realizzato nel 2014.
«Ha avuto il coraggio di raccontare gli amori, le passioni, le sconfitte, i percorsi lenti e complessi dell’animo umano. Non riuscirei a immaginare un mondo senza di lui». (Liv Ullmann a proposito di Ingmar Bergman, dal quotidiano Libertà, 31 luglio 2007)
Nell’incontro con la stampa al Bergamo Film Meeting, Liv Ullmann ha mostrato tutto il suo affetto verso il pubblico, parlando di Bergman, dell’Italia e… della vita di coppia. Ecco com’è andata.
A 27 anni recita in Persona, che è anche la sua prima collaborazione con Ingmar Bergman: che ricordo conserva di questa esperienza?
Persona ritengo sia il film che abbia cambiato la mia vita, artistica e non solo, nonostante avessi iniziato a recitare al cinema anni prima. Il cambiamento fu totale, sotto diversi aspetti. Me ne rendo conto ancora oggi quanto abbia significato per me, ad esempio attraverso il calore e la profonda benevolenza che mi avete dimostrato in questa bellissima occasione qui a Bergamo. In generale, io penso che l’arte rimanga sempre un mezzo per lottare: Ingmar mi ha insegnato che “c’è una realtà oltre la realtà, ed è l’anima”. Bergman, solitamente, è identificato spesso in maniera forse superficiale come un autore di film cupi, tristi, disperati, in cui la felicità è totalmente assente. In realtà, se si osserva con attenzione, lui ha sempre voluto parlare anche di amore e affetto verso il prossimo. Uno dei ricordi che più hanno segnato la sua persona e la sua arte risale a quando, da bambino, sedeva sulle ginocchia dell’anziana nonna e ascoltava incantato le sue storie sulla bellezza del mondo.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, lei ha recitato anche per Monicelli e Bolognini: quale è il suo rapporto con l’Italia?
Lavorare con loro fu una esperienza bellissima, che porterò sempre nel cuore. La cosa che più mi colpì fu la loro capacità di farmi sentire a casa, quasi in famiglia. E mi fecero amare l’Italia con tutte le loro dimostrazioni di affetto. Uno dei miei riferimenti assoluti è Vittorio De Sica e credo che anche Monicelli e Bolognini si avvicinassero a quell’eccellenza. Durante le riprese di Speriamo che sia femmina (1986), mi sposai proprio a Roma e Monicelli fu così gentile che concesse al costumista del film di realizzare il mio vestito da sposa. Non potendo essere bianco, poiché non erano le mie prime nozze, mi fece uno splendido abito verde.
Attraverso i film in cui ha recitato, cosa ha imparato dell’amore di coppia?
Mi mette in difficoltà con questa domanda! Non dovrebbe chiederlo a me… credo sia una cosa che riguardi la natura stessa dell’arte il fatto di unire realtà e finzione. Bergman diceva sempre che tutta la sua ricerca artistica ruota attorno a una “destinazione sconosciuta”: il suo fine ultimo era quello di rendere visibile ai suoi occhi questo scopo ignoto che doveva essere svelato dal cinema e, più in generale, dall’arte. E, forse, l’amore e tutti i suoi segreti sono questa destinazione sconosciuta. Dobbiamo ricercare sempre il contatto e l’amore anche delle persone “diverse” e più lontane, e non vivere, come si usa oggi, attraverso gli smartphone e la rete, che ci danno solo l’illusione di avere dei rapporti umani.
È vero che si è sentita di aver interpretato la parte femminile della personalità di Bergman?
Sì, è una cosa che mi sono sempre sentita, ma con Ingmar non ne ho mai parlato. Nonostante nessuno dei due abbia mai confessato all’altro qualcosa a riguardo, trovo che il profondo legame che ci univa si riscontri anche questo transfert. Soprattutto in Persona, dove interpreto un ruolo senza battute, ho riconosciuto di interpretare la sua situazione di crisi e profondo isolamento… si sentiva impaurito, ansioso e non desiderava contatti con gli altri. Ma, in generale, in tutti i primi film da lui diretti in cui ho recitato, mi sentivo di essere lui.