Il 30 Settembre Paolo Genovese è stato ospite alla prima edizione di Castiglione del Cinema. Sul palco con il Direttore Artistico Emanuele Rauco, il regista di successi come Tutta Colpa di Freud, The Place, Immaturi e Perfetti Sconosciuti, ha tenuto una masterclass per parlare del mestiere del regista, di cinema e della sua carriera. “La creatività è un elemento fondamentale per guardare le cose in modo diverso”, ha detto per poi lasciarsi andare ad alcuni ricordi curiosi sugli esordi. Ecco il nostro resoconto.
La genesi di Perfetti sconosciuti e il concetto di creatività:
”Che cos’è la creatività? Ritengo che la creatività sia un elemento fondamentale, soprattutto per i giovani, per affrontare qualunque mestiere perché qualsiasi mestiere può essere creativo. È il modo con cui si affrontano le cose: un impiegato di banca può essere creativo. C’è una case history molto interessante di Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum che cominciò come impiegato dietro lo sportello. Anche questa mansione può essere creativa. Conosco questa storia perché mi avevano proposto la storia della vita di Ennio Doris. Pochi clienti andavano in banca e lui disse ’Se non entrano, andiamo noi a prenderli a casa’. In quel modo nacque il mestiere del promotore finanziario, colui che esce dalla banca, entra nelle case e propone dei progetti. Ennio Doris fu un impiegato di banca creativo. La bellezza della creatività è il modo diverso di guardare le cose, non seguire il solco, cercare di trovare un modo personale, alternativo e funzionale per fare le cose. E come un impiegato di banca può esser creativo, un creativo può non essere creativo. Un altro esempio riguarda un’agenzia creativa molto importante in Germania; quando lanciò il Maggiolino, Volkswagen decise di non lanciarlo negli Stati Uniti perché, secondo i creativi, non avrebbe mai avuto successo. Era il periodo post-Seconda Guerra Mondiale e lanciare una macchina che si chiama Volkswagen era impensabile. I punti di forza del Maggiolino erano la dimensione ridotta e i bassi consumi. In quel periodo l’America era nel boom assoluto; tutto era grande e il successo era quasi misurato dalla dimensione delle cose. I creativi di questa agenzia, seguendo una logica razionale e coerente, decisero di non lanciarlo negli USA. Un creativo di nome Bill Bernbach riuscì a far cambiare idea alla Volkswagen e venderlo anche in America, seppur con condizioni che apparentemente sembravano avverse, attraverso un pensiero creativo. Lo spot fu il più grande successo da quando l’azienda fu fondata: due classiche villette americane davanti alle quali passa il classico macchinone della famiglia americana. La famiglia scende dall’auto con i figli che piangono perché i genitori non gli hanno comprato ciò che desideravano. Nella casetta accanto si ferma una piccola Volkswagen dalla quale scende una famiglia americana felice con giocattoli e vestiti. Il claim della campagna era ‘Con una Volkswagen avrete molti più soldi per comprare tutto ciò che volete’. Era un meccanismo laterale, ribaltare il concetto del risparmio con quello di una maggior disponibilità economica. Ecco la creatività. In ambito cinematografico non è detto che la creatività si svolga in maniera creativa. A volte il rischio è cercare di rifare successi, cercare di fare ciò che piace, cercare di seguire il sogno, in qualche modo. Esce un film che fa successo, ad esempio Notte prima degli esami, e tutti vogliono fare quel tipo di teen movie. Esce L’ultimo bacio e tutti chiedono film composti da gruppi di quarantenni e le loro vite. Esce Perfetti sconosciuti e tutti chiedono film sui cellulari. Ecco esempi di un mestiere creativo fatto in maniera non creativa; quasi come una fotocopia ma prima o poi il toner finisce e le fotocopie sono sbiadite. La creatività è chiedersi perché un determinato film funziona senza cercare di copiare la storia. Questo è un modo creativo di fare questo lavoro. Tornando a Perfetti sconosciuti: le idee di un film non si capisce mai come nascono, perché è un processo curioso. Chi racconta storie osserva molto quello che gli succede intorno, osserva la vita e le persone. Quello che succede si deposita e ad un certo punto nasce l’idea di raccontarlo. È un po’ come quando siamo in vacanza, stiamo visitando una città, usciamo al mattino dall’albergo e ci ritroviamo in un punto senza sapere bene perché. Così è il processo creativo. Probabilmente ad un bivio abbiamo visto qualcosa che ci interessava e siamo andati da una parte e poi siamo andati da quell’altra. Nel processo creativo cominci da un’idea che poi diventa un’altra, e alla fine diventa una storia. Perfetti sconosciuti nacque in maniera casuale, era completamente un altro film. Il tema vagamente era ‘Quanto poco conosciamo le persone che ci stanno intorno’. Era un film diverso in cui un membro di un gruppo di amici finiva in coma e intorno al suo capezzale giravano gli amici che andavano a trovarlo. A volte in coppia oppure da soli e in quest’ultimo caso gli vomitavano addosso problematiche, segreti e non detti. Quando il gruppo scopre il via vai che si è creato al capezzale dell’amico, durante una cena di gruppo a casa, un’amica chiede se qualcuno nasconde dei segreti, estraendo il cellulare e poggiandolo sul tavolo: ’Se non avete segreti posate il vostro telefono e vediamo che cosa c’è dentro’. Nessuno risponde e a quel punto lei riprende il cellulare dicendo ‘Ok, ci siamo capiti’. Un’unica scena trasformatasi in una pulce, ci è rimasta in testa. Un giorno dissi agli sceneggiatori ‘Perché non proviamo ad andare un poco più avanti con quella scena perché mi sembra interessante, chissà cosa può succedere se invece qualcuno il telefono lo posa e cominciano a confrontare loro vite attraverso un oggetto che le sta cambiando’. Quella scena è diventata due, poi tre pagine. Continuavamo ad aggiungere pagine su pagine, finché ad un certo punto ci siamo detti ‘Forse è questo il film che dobbiamo fare’. Ricominciamo da capo raccontando quanto poco si conosceva un gruppo di persone attraverso un oggetto’. Nel cinema la tendenza è quella di dare al pubblico ciò che gli piace e limita un po’ la creatività. In qualunque campo artistico, non solo nel cinema, il compito sarebbe quello di dare al pubblico ciò che ancora non sa, perché è il rischio che si deve prendere un autore. Proteggere la propria creatività significa portare avanti le proprie idee anche quando vengono avversate. O il progetto non funziona o gli altri non hanno visto ciò che noi siamo riusciti a vedere. Nell’equilibrio tra queste due ipotesi c’è lo spingere la creatività oltre il rifiuto oppure fermarsi e cambiare strada.
Il rapporto con gli attori e la direzione di un cast numeroso
”Generalmente, quando scrivo una sceneggiatura non penso mai all’attore che interpreterà il personaggio. C’è una domanda che all’uscita di un film i giornalisti mi pongono sempre ‘Pensavi già a quell’attore quando scrivevi?’. Risposta ‘No, mai’. È una regola che impongo a me stesso. Penso che il rischio, soprattutto in Italia, sia quello di avere difficoltà a creare veri personaggi cinematografici. Un personaggio cinematografico, dal mio punto di vista, è un personaggio che si stacca dall’attore e diventa noto, famoso e amato in quanto personaggio del film e non attore. Ad esempio, Joker è un personaggio che non esiste, si stacca da Joaquin Phoenix. Il rischio opposto è vedere l’attore e non identificare un personaggio. Quando io scrivo non penso mai all’attore che lo interpreterà perché ho paura di essere influenzato dalle caratteristiche dell’attore. Soltanto quando il personaggio è finito ed è scaturito dalla mia fantasia, immagino l’attore che meglio lo possa interpretare. Non necessariamente con le caratteristiche simili. Gli attori, non tutti, tendono a rimanere nella loro comfort zone, a fare quello che gli riesce meglio e che è più simile alla loro indole nella vita. Sono convinto, e non lo dico io, che recitare significhi essere altro, uscire da se stessi per dar vita a qualcosa di nuovo. A volte sono andato in controtendenza, cercando di utilizzare un attore che non avesse, nella vita reale, le stesse caratteristiche. Il mio primo incontro con Marco Giallini fu per Tutta colpa di Freud; ricordo quando ci incontrammo in agenzia per la prima volta e gli raccontai il personaggio: un padre di famiglia colto, sensibile, gentile, laureato in psichiatria e lui mi disse “Ahó ma te li sei visti visti i miei film?”. Penso sia stato il suo primo film fuori dagli schemi di personaggi come il Terribile. Il lavoro sull’attore è molto lungo e importante, si fanno molte prove. Preferisco fare tantissime prove e chiarire tutto prima dell’inizio delle riprese. Il film ha tre fasi, di cui due a freddo e una a caldo. A freddo significa che poi hai tempo per riflettere, scrivere e cambiare. È tutta la parte di scrittura e di preparazione quella dopo le riprese, con il montaggio e il suono. Il set è una parte a caldo e non ti fermi per settimane, non hai tempo per riflettere anche perché il film non viene mai girato nell’ordine cronologico in cui si vede al cinema. Un film viene girato in maniera molto spezzettata per motivi produttivi e se, ad esempio, inizia in una sala cinematografica e finisce sempre in una sala cinematografica probabilmente le due scene sono state girate insieme. C’è una frammentazione incredibile e la linea guida è la sceneggiatura, un manuale d’istruzioni per fare il film. Da sola non ha valenza, è carta straccia, è come quando vai da Ikea a comprare un mobile e hai il manuale per montarlo. Ecco perché preferisco provare ripetutamente, perché per me è insopportabile l’attore che arriva sul set, magari su una scena importante, e ha un dubbio. È sbagliato avere dubbi profondi sul set. Si possono avere mille piccoli dubbi di dialoghi o di movimenti ma le cose di sceneggiatura, di prove con gli attori e di emozioni profonde del personaggio bisogna sviscerarle prima perché il set è il luogo adatto per le piccole cose. Eventualmente anche per delle improvvisazioni ma anche in quel caso ho una mia regola abbastanza rigida perché ritengo che la sceneggiatura sia lo strumento più forte e più importante di un film. Billy Wilder diceva ‘Per fare un buon film ci vogliono tre cose: una buona sceneggiatura, una buona sceneggiatura, una buona sceneggiatura’. Una cattiva sceneggiatura sul set non diventa un buon film. Sull’improvvisazione io ho un metodo: pretendo la sceneggiatura e una volta che la scena è stata girata nel modo in cui era stata pensata, ci può assolutamente essere spazio per l’idea e l’improvvisazione, perché a caldo e in quella scena può sembrare che funzioni ma quando rimetti tutto in fila capisci che ti manca qualcosa. Invece, quando il lavoro avviene su una sceneggiatura scritta da altri sceneggiatori c’è un confronto dialettico e creativo fondamentale e il regista ha il vantaggio di partire da una storia già scritta sulla quale può dire la sua sul set. Nella mia masterclass per addetti ai lavori ho un metodo curioso: unisco due categorie che non si parlano mai, l’attore e lo sceneggiatore, che nel processo creativo non si conoscono. Lo sceneggiatore ha la possibilità di vedere, dirigere, cambiare e interagire con colui che dirà le sue parole. È importante il passaggio dalla carta alla recitazione perché ci sono battute che sulla carta funzionano e quando le metti in bocca ad un attore non si possono sentire. E quindi, la capacità di capire la funzionalità del passaggio dalla sceneggiatura alla recitazione è fondamentale".
Il lavoro del regista
”Il regista, soprattutto sul set, è molto solo. È un lavoro dove tutti ti vengono a chiedere cose; dai costumi, alla scenografia, alle luci. Qualunque cosa si vede in un film trasmette la sensazione di una realtà ma è comunque pensata. Non c’è nessun dettaglio che sia casuale. È un lavoro di scelte continue ed è molto faticoso”.
Quando Incantesimo napoletano stregò Locarno
”Bisogna comprendere che il bello o il brutto sono concetti oggettivi ma nel cinema non vale per tutti. Ci sono dei mestieri oggettivi ma il cinema è un mestiere soggettivo. C’è un episodio che mi ha segnato la vita. Il mio primo cortometraggio si chiama Incantesimo napoletano, è la storia di una bambina che nasce a Napoli ma parla milanese. Era il mio primo lavoro in assoluto e venne selezionato al Festival di Locarno, all’epoca ambitissimo, soprattutto perché la proiezione avveniva in una piazza incredibile, la più grande del mondo nella quale si proiettano film. I corti selezionati in concorso venivano proiettati prima dei film importanti. Magari era l’opera prima o seconda e il corto aveva una platea di migliaia di persone in Piazza Grande. Essere selezionato a Locarno è stata un’emozione superiore anche alla vittoria del David. Mi presentai con il mio corto e iniziò la proiezione, all’epoca analogica, completamente sfocata, a causa di un errore del proiezionista con un obiettivo. L’audio era ottimo ma si vedeva malissimo. Ero disperato, al primo festival della mia vita. Il festival finì e Incantesimo napoletano vinse la sezione cortometraggi con la motivazione della giuria che premiava ‘il coraggio di aver raccontato una storia di disagio attraverso la tecnica del fuori fuoco’. Per la giuria il mio corto era bello perché sfocato, io non meritavo quel premio”.
Perfetti Sconosciuti nel Guinness dei primati come film con più remake al mondo
"Siamo arrivati a 32 remake e mi sorprende che ogni anno ne esce uno nuovo. Adesso credo sia un uscita, o hanno finito di girare, quello bulgaro. Dal 2016 sono passati 7 anni e ancora continuano a farne. Ciò che mi ha fatto estremamente piacere è il fatto che l’adattamento è stato sempre molto fedele, per cui vuol dire che con gli altri sceneggiatori abbiamo scritto una sceneggiatura valida non solo per l’Italia ma universale e assoluta, nella quale quelle tematiche, quei meccanismi e quegli intrecci funzionavano e venivano capiti ovunque, tanto è vero che sono stati ovunque rispettati anche se ovviamente con dei piccoli adattamenti culturali".
Clementoni voleva fare il gioco in scatola di Perfetti Sconosciuti!
"Su Perfetti Sconosciuti mi dissero: può essere che non funzioni, stando per due ore intorno a una tavola. Allora dissi a Medusa che l’avrei fatto a teatro, poi per fortuna è andato diversamente e ho avuto modo di fare il film, del quale - non avete idea - addirittura Clementoni mi ha chiesto di poter fare il gioco in scatola.... Tutti noi vorremmo fare sempre cose nuove, ma non sempre ci si riesce, lo dico da privilegiato, magari ad altri non lo fanno fare. Cerco sempre cose che stupiscano me per primo".
Il successo teatrale argentino e la rivelazione sulla prospettiva dell'ottavo commensale
"In Argentina la versione per il palcoscenico di Perfetti sconosciuti è stato uno dei più grossi successi teatrali argentini degli ultimi dieci anni. Alla millesima replica sono stato invitato a vederlo e ho avuto un’emozione diversa, rispetto a quella del cinema. Il film è girato come se lo spettatore fosse l’ottavo commensale, se ci fate caso tante inquadrature sono girate dalla prospettiva di un posto vuoto. A teatro, quel posto è dato dal pubblico. Sono pippe mentai del regista che non è detto che il pubblico colga, ma è bello ci siano".
Gli inizi e l'amore per gli spot
"Continuo a fare spot pubblicitari non tanto per il risultato finale ma per il percorso che c’è dietro. Quando l’ho fatto io, alla fine degli anni ‘90, i pubblicitari erano degli intellettuali, non c’erano YouTube e TikTok e i banner, lo spot televisivo classico era quella cosa lì. Se dovessi descrivere cos’è la pubblicità è posizionare un prodotto nella vostra testa, ci sono riunioni enormi dietro, elementi di analisi della società. Quando la Coca Cola cambiò gusto e la Pepsi in America andò più forte, facendo cadere molte teste, capirono che in un paese come gli Stati Uniti, che è molto conservatore, l’essere trasgressivi o anti-tradizionalisti a costo zero piaceva ma che, in fin dei conti, se compriamo tutti la Coca Cola è proprio perché ci piace quel gusto lì. Hnno fatto pubblicità gandi registi come Ridley Scott, Jonathan Glazer, Luc Besson".
Il mancato apprezzamento per il remake spagnolo di Alex De La Iglesia e lo spot dell'esselunga con la pesca
Perfetti Sconosciuti è stato sicuramente un grande successo di cui sono stati realizzati remake in tutto il mondo. “Sono terrorizzato dal rifare qualcosa di già visto, spero sempre di raccontare storie che siano nuove per me per primo” ha detto Genovese in chiusura, confessando di aver odiato l’adattamento di Alex De La Iglesia perché “ha stravolto la storia” mentre si è divertito molto a vedere i remake cinese e coreano. In chiusura ha ripercorso i suoi inizi con gli spot pubblicitari: “Lo spot in fondo è un’analisi sociale per capire di cosa si ha bisogno, si fanno persino riunioni psicologiche e creative”. Inevitabile una battuta sul recente spot dell’Esselunga con la pesca del quale il regista ha detto: “Tutti possono dire tutto e tutti hanno bisogno di dire tutto, strumentalizzando spesso il pensiero anche quando non c’entra assolutamente niente con il contenuto. Io ci sono passato con lo spot del parmigiano reggiano con il povero Stefano Fresi”.
a cura di Davide Sica e Davide Stanzione
La genesi di Perfetti sconosciuti e il concetto di creatività:
”Che cos’è la creatività? Ritengo che la creatività sia un elemento fondamentale, soprattutto per i giovani, per affrontare qualunque mestiere perché qualsiasi mestiere può essere creativo. È il modo con cui si affrontano le cose: un impiegato di banca può essere creativo. C’è una case history molto interessante di Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum che cominciò come impiegato dietro lo sportello. Anche questa mansione può essere creativa. Conosco questa storia perché mi avevano proposto la storia della vita di Ennio Doris. Pochi clienti andavano in banca e lui disse ’Se non entrano, andiamo noi a prenderli a casa’. In quel modo nacque il mestiere del promotore finanziario, colui che esce dalla banca, entra nelle case e propone dei progetti. Ennio Doris fu un impiegato di banca creativo. La bellezza della creatività è il modo diverso di guardare le cose, non seguire il solco, cercare di trovare un modo personale, alternativo e funzionale per fare le cose. E come un impiegato di banca può esser creativo, un creativo può non essere creativo. Un altro esempio riguarda un’agenzia creativa molto importante in Germania; quando lanciò il Maggiolino, Volkswagen decise di non lanciarlo negli Stati Uniti perché, secondo i creativi, non avrebbe mai avuto successo. Era il periodo post-Seconda Guerra Mondiale e lanciare una macchina che si chiama Volkswagen era impensabile. I punti di forza del Maggiolino erano la dimensione ridotta e i bassi consumi. In quel periodo l’America era nel boom assoluto; tutto era grande e il successo era quasi misurato dalla dimensione delle cose. I creativi di questa agenzia, seguendo una logica razionale e coerente, decisero di non lanciarlo negli USA. Un creativo di nome Bill Bernbach riuscì a far cambiare idea alla Volkswagen e venderlo anche in America, seppur con condizioni che apparentemente sembravano avverse, attraverso un pensiero creativo. Lo spot fu il più grande successo da quando l’azienda fu fondata: due classiche villette americane davanti alle quali passa il classico macchinone della famiglia americana. La famiglia scende dall’auto con i figli che piangono perché i genitori non gli hanno comprato ciò che desideravano. Nella casetta accanto si ferma una piccola Volkswagen dalla quale scende una famiglia americana felice con giocattoli e vestiti. Il claim della campagna era ‘Con una Volkswagen avrete molti più soldi per comprare tutto ciò che volete’. Era un meccanismo laterale, ribaltare il concetto del risparmio con quello di una maggior disponibilità economica. Ecco la creatività. In ambito cinematografico non è detto che la creatività si svolga in maniera creativa. A volte il rischio è cercare di rifare successi, cercare di fare ciò che piace, cercare di seguire il sogno, in qualche modo. Esce un film che fa successo, ad esempio Notte prima degli esami, e tutti vogliono fare quel tipo di teen movie. Esce L’ultimo bacio e tutti chiedono film composti da gruppi di quarantenni e le loro vite. Esce Perfetti sconosciuti e tutti chiedono film sui cellulari. Ecco esempi di un mestiere creativo fatto in maniera non creativa; quasi come una fotocopia ma prima o poi il toner finisce e le fotocopie sono sbiadite. La creatività è chiedersi perché un determinato film funziona senza cercare di copiare la storia. Questo è un modo creativo di fare questo lavoro. Tornando a Perfetti sconosciuti: le idee di un film non si capisce mai come nascono, perché è un processo curioso. Chi racconta storie osserva molto quello che gli succede intorno, osserva la vita e le persone. Quello che succede si deposita e ad un certo punto nasce l’idea di raccontarlo. È un po’ come quando siamo in vacanza, stiamo visitando una città, usciamo al mattino dall’albergo e ci ritroviamo in un punto senza sapere bene perché. Così è il processo creativo. Probabilmente ad un bivio abbiamo visto qualcosa che ci interessava e siamo andati da una parte e poi siamo andati da quell’altra. Nel processo creativo cominci da un’idea che poi diventa un’altra, e alla fine diventa una storia. Perfetti sconosciuti nacque in maniera casuale, era completamente un altro film. Il tema vagamente era ‘Quanto poco conosciamo le persone che ci stanno intorno’. Era un film diverso in cui un membro di un gruppo di amici finiva in coma e intorno al suo capezzale giravano gli amici che andavano a trovarlo. A volte in coppia oppure da soli e in quest’ultimo caso gli vomitavano addosso problematiche, segreti e non detti. Quando il gruppo scopre il via vai che si è creato al capezzale dell’amico, durante una cena di gruppo a casa, un’amica chiede se qualcuno nasconde dei segreti, estraendo il cellulare e poggiandolo sul tavolo: ’Se non avete segreti posate il vostro telefono e vediamo che cosa c’è dentro’. Nessuno risponde e a quel punto lei riprende il cellulare dicendo ‘Ok, ci siamo capiti’. Un’unica scena trasformatasi in una pulce, ci è rimasta in testa. Un giorno dissi agli sceneggiatori ‘Perché non proviamo ad andare un poco più avanti con quella scena perché mi sembra interessante, chissà cosa può succedere se invece qualcuno il telefono lo posa e cominciano a confrontare loro vite attraverso un oggetto che le sta cambiando’. Quella scena è diventata due, poi tre pagine. Continuavamo ad aggiungere pagine su pagine, finché ad un certo punto ci siamo detti ‘Forse è questo il film che dobbiamo fare’. Ricominciamo da capo raccontando quanto poco si conosceva un gruppo di persone attraverso un oggetto’. Nel cinema la tendenza è quella di dare al pubblico ciò che gli piace e limita un po’ la creatività. In qualunque campo artistico, non solo nel cinema, il compito sarebbe quello di dare al pubblico ciò che ancora non sa, perché è il rischio che si deve prendere un autore. Proteggere la propria creatività significa portare avanti le proprie idee anche quando vengono avversate. O il progetto non funziona o gli altri non hanno visto ciò che noi siamo riusciti a vedere. Nell’equilibrio tra queste due ipotesi c’è lo spingere la creatività oltre il rifiuto oppure fermarsi e cambiare strada.
Il rapporto con gli attori e la direzione di un cast numeroso
”Generalmente, quando scrivo una sceneggiatura non penso mai all’attore che interpreterà il personaggio. C’è una domanda che all’uscita di un film i giornalisti mi pongono sempre ‘Pensavi già a quell’attore quando scrivevi?’. Risposta ‘No, mai’. È una regola che impongo a me stesso. Penso che il rischio, soprattutto in Italia, sia quello di avere difficoltà a creare veri personaggi cinematografici. Un personaggio cinematografico, dal mio punto di vista, è un personaggio che si stacca dall’attore e diventa noto, famoso e amato in quanto personaggio del film e non attore. Ad esempio, Joker è un personaggio che non esiste, si stacca da Joaquin Phoenix. Il rischio opposto è vedere l’attore e non identificare un personaggio. Quando io scrivo non penso mai all’attore che lo interpreterà perché ho paura di essere influenzato dalle caratteristiche dell’attore. Soltanto quando il personaggio è finito ed è scaturito dalla mia fantasia, immagino l’attore che meglio lo possa interpretare. Non necessariamente con le caratteristiche simili. Gli attori, non tutti, tendono a rimanere nella loro comfort zone, a fare quello che gli riesce meglio e che è più simile alla loro indole nella vita. Sono convinto, e non lo dico io, che recitare significhi essere altro, uscire da se stessi per dar vita a qualcosa di nuovo. A volte sono andato in controtendenza, cercando di utilizzare un attore che non avesse, nella vita reale, le stesse caratteristiche. Il mio primo incontro con Marco Giallini fu per Tutta colpa di Freud; ricordo quando ci incontrammo in agenzia per la prima volta e gli raccontai il personaggio: un padre di famiglia colto, sensibile, gentile, laureato in psichiatria e lui mi disse “Ahó ma te li sei visti visti i miei film?”. Penso sia stato il suo primo film fuori dagli schemi di personaggi come il Terribile. Il lavoro sull’attore è molto lungo e importante, si fanno molte prove. Preferisco fare tantissime prove e chiarire tutto prima dell’inizio delle riprese. Il film ha tre fasi, di cui due a freddo e una a caldo. A freddo significa che poi hai tempo per riflettere, scrivere e cambiare. È tutta la parte di scrittura e di preparazione quella dopo le riprese, con il montaggio e il suono. Il set è una parte a caldo e non ti fermi per settimane, non hai tempo per riflettere anche perché il film non viene mai girato nell’ordine cronologico in cui si vede al cinema. Un film viene girato in maniera molto spezzettata per motivi produttivi e se, ad esempio, inizia in una sala cinematografica e finisce sempre in una sala cinematografica probabilmente le due scene sono state girate insieme. C’è una frammentazione incredibile e la linea guida è la sceneggiatura, un manuale d’istruzioni per fare il film. Da sola non ha valenza, è carta straccia, è come quando vai da Ikea a comprare un mobile e hai il manuale per montarlo. Ecco perché preferisco provare ripetutamente, perché per me è insopportabile l’attore che arriva sul set, magari su una scena importante, e ha un dubbio. È sbagliato avere dubbi profondi sul set. Si possono avere mille piccoli dubbi di dialoghi o di movimenti ma le cose di sceneggiatura, di prove con gli attori e di emozioni profonde del personaggio bisogna sviscerarle prima perché il set è il luogo adatto per le piccole cose. Eventualmente anche per delle improvvisazioni ma anche in quel caso ho una mia regola abbastanza rigida perché ritengo che la sceneggiatura sia lo strumento più forte e più importante di un film. Billy Wilder diceva ‘Per fare un buon film ci vogliono tre cose: una buona sceneggiatura, una buona sceneggiatura, una buona sceneggiatura’. Una cattiva sceneggiatura sul set non diventa un buon film. Sull’improvvisazione io ho un metodo: pretendo la sceneggiatura e una volta che la scena è stata girata nel modo in cui era stata pensata, ci può assolutamente essere spazio per l’idea e l’improvvisazione, perché a caldo e in quella scena può sembrare che funzioni ma quando rimetti tutto in fila capisci che ti manca qualcosa. Invece, quando il lavoro avviene su una sceneggiatura scritta da altri sceneggiatori c’è un confronto dialettico e creativo fondamentale e il regista ha il vantaggio di partire da una storia già scritta sulla quale può dire la sua sul set. Nella mia masterclass per addetti ai lavori ho un metodo curioso: unisco due categorie che non si parlano mai, l’attore e lo sceneggiatore, che nel processo creativo non si conoscono. Lo sceneggiatore ha la possibilità di vedere, dirigere, cambiare e interagire con colui che dirà le sue parole. È importante il passaggio dalla carta alla recitazione perché ci sono battute che sulla carta funzionano e quando le metti in bocca ad un attore non si possono sentire. E quindi, la capacità di capire la funzionalità del passaggio dalla sceneggiatura alla recitazione è fondamentale".
Il lavoro del regista
”Il regista, soprattutto sul set, è molto solo. È un lavoro dove tutti ti vengono a chiedere cose; dai costumi, alla scenografia, alle luci. Qualunque cosa si vede in un film trasmette la sensazione di una realtà ma è comunque pensata. Non c’è nessun dettaglio che sia casuale. È un lavoro di scelte continue ed è molto faticoso”.
Quando Incantesimo napoletano stregò Locarno
”Bisogna comprendere che il bello o il brutto sono concetti oggettivi ma nel cinema non vale per tutti. Ci sono dei mestieri oggettivi ma il cinema è un mestiere soggettivo. C’è un episodio che mi ha segnato la vita. Il mio primo cortometraggio si chiama Incantesimo napoletano, è la storia di una bambina che nasce a Napoli ma parla milanese. Era il mio primo lavoro in assoluto e venne selezionato al Festival di Locarno, all’epoca ambitissimo, soprattutto perché la proiezione avveniva in una piazza incredibile, la più grande del mondo nella quale si proiettano film. I corti selezionati in concorso venivano proiettati prima dei film importanti. Magari era l’opera prima o seconda e il corto aveva una platea di migliaia di persone in Piazza Grande. Essere selezionato a Locarno è stata un’emozione superiore anche alla vittoria del David. Mi presentai con il mio corto e iniziò la proiezione, all’epoca analogica, completamente sfocata, a causa di un errore del proiezionista con un obiettivo. L’audio era ottimo ma si vedeva malissimo. Ero disperato, al primo festival della mia vita. Il festival finì e Incantesimo napoletano vinse la sezione cortometraggi con la motivazione della giuria che premiava ‘il coraggio di aver raccontato una storia di disagio attraverso la tecnica del fuori fuoco’. Per la giuria il mio corto era bello perché sfocato, io non meritavo quel premio”.
Perfetti Sconosciuti nel Guinness dei primati come film con più remake al mondo
"Siamo arrivati a 32 remake e mi sorprende che ogni anno ne esce uno nuovo. Adesso credo sia un uscita, o hanno finito di girare, quello bulgaro. Dal 2016 sono passati 7 anni e ancora continuano a farne. Ciò che mi ha fatto estremamente piacere è il fatto che l’adattamento è stato sempre molto fedele, per cui vuol dire che con gli altri sceneggiatori abbiamo scritto una sceneggiatura valida non solo per l’Italia ma universale e assoluta, nella quale quelle tematiche, quei meccanismi e quegli intrecci funzionavano e venivano capiti ovunque, tanto è vero che sono stati ovunque rispettati anche se ovviamente con dei piccoli adattamenti culturali".
Clementoni voleva fare il gioco in scatola di Perfetti Sconosciuti!
"Su Perfetti Sconosciuti mi dissero: può essere che non funzioni, stando per due ore intorno a una tavola. Allora dissi a Medusa che l’avrei fatto a teatro, poi per fortuna è andato diversamente e ho avuto modo di fare il film, del quale - non avete idea - addirittura Clementoni mi ha chiesto di poter fare il gioco in scatola.... Tutti noi vorremmo fare sempre cose nuove, ma non sempre ci si riesce, lo dico da privilegiato, magari ad altri non lo fanno fare. Cerco sempre cose che stupiscano me per primo".
Il successo teatrale argentino e la rivelazione sulla prospettiva dell'ottavo commensale
"In Argentina la versione per il palcoscenico di Perfetti sconosciuti è stato uno dei più grossi successi teatrali argentini degli ultimi dieci anni. Alla millesima replica sono stato invitato a vederlo e ho avuto un’emozione diversa, rispetto a quella del cinema. Il film è girato come se lo spettatore fosse l’ottavo commensale, se ci fate caso tante inquadrature sono girate dalla prospettiva di un posto vuoto. A teatro, quel posto è dato dal pubblico. Sono pippe mentai del regista che non è detto che il pubblico colga, ma è bello ci siano".
Gli inizi e l'amore per gli spot
"Continuo a fare spot pubblicitari non tanto per il risultato finale ma per il percorso che c’è dietro. Quando l’ho fatto io, alla fine degli anni ‘90, i pubblicitari erano degli intellettuali, non c’erano YouTube e TikTok e i banner, lo spot televisivo classico era quella cosa lì. Se dovessi descrivere cos’è la pubblicità è posizionare un prodotto nella vostra testa, ci sono riunioni enormi dietro, elementi di analisi della società. Quando la Coca Cola cambiò gusto e la Pepsi in America andò più forte, facendo cadere molte teste, capirono che in un paese come gli Stati Uniti, che è molto conservatore, l’essere trasgressivi o anti-tradizionalisti a costo zero piaceva ma che, in fin dei conti, se compriamo tutti la Coca Cola è proprio perché ci piace quel gusto lì. Hnno fatto pubblicità gandi registi come Ridley Scott, Jonathan Glazer, Luc Besson".
Il mancato apprezzamento per il remake spagnolo di Alex De La Iglesia e lo spot dell'esselunga con la pesca
Perfetti Sconosciuti è stato sicuramente un grande successo di cui sono stati realizzati remake in tutto il mondo. “Sono terrorizzato dal rifare qualcosa di già visto, spero sempre di raccontare storie che siano nuove per me per primo” ha detto Genovese in chiusura, confessando di aver odiato l’adattamento di Alex De La Iglesia perché “ha stravolto la storia” mentre si è divertito molto a vedere i remake cinese e coreano. In chiusura ha ripercorso i suoi inizi con gli spot pubblicitari: “Lo spot in fondo è un’analisi sociale per capire di cosa si ha bisogno, si fanno persino riunioni psicologiche e creative”. Inevitabile una battuta sul recente spot dell’Esselunga con la pesca del quale il regista ha detto: “Tutti possono dire tutto e tutti hanno bisogno di dire tutto, strumentalizzando spesso il pensiero anche quando non c’entra assolutamente niente con il contenuto. Io ci sono passato con lo spot del parmigiano reggiano con il povero Stefano Fresi”.
a cura di Davide Sica e Davide Stanzione