News
Classicismo e innovazione negli anni '80: il sogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola
Apocalypse Now ha segnato una cesura nella storia del cinema: il 1979 è, per convenzione, l'anno con cui si chiude la New Hollywood in senso stretto, quella nata esattamente dieci anni prima, nel 1969, con Un uomo da marciapiede e Easy Rider, benché i prodromi della nuova wave si avvertano già nel 1966-67 con film come La caccia di Arthur Penn, Gangster Story sempre di Penn e, soprattutto, Il laureato di Mike Nichols.


Ma il capolavoro di Francis Ford Coppola chiude un'epoca ancora più vasta, un intero mondo cinematografico, esiste un prima e un dopo Apocalypse Now. This is the end, una fine che è un punto di arrivo estremo. Da questo momento, si può parlare di una nuova New Hollywood, una "New-New Hollywood" in cui Coppola ha un ruolo di assoluto protagonista. Con l'ingresso negli anni '80, si ragiona in maniera sempre più teorica sul rapporto tra cinema e TV, quando la televisione ha prodotto una frammentazione della visione, una confusione di (iper)testi e una fagocitante commistione di generi.

Dopo Apocalypse Now, Coppola si fa cantore di una "rifondazione" del cinema che copre la prima metà degli anni '80 e che fa esplodere la sua visione autoriale e smisuratamente ambiziosa. Una rifondazione del mezzo a partire dai suoi fattori costitutivi, l'immagine (in Un sogno lungo un giorno), il suono, il rapporto con il pubblico, il pastiche di generi classici (in Cotton Club, ad esempio), le possibili letture dell'opera filmica, l'autoreferenzialità del mezzo, arrivando a distorcere la visione tradizionale con soluzioni quasi sperimentali (in Rusty il selvaggio, che è il suo capolavoro di questo periodo molto complesso): è in atto il passaggio più nobile e autoriale dell'era moderna a quella postmoderna.


L'era coppoliana dell'eccesso, del frammento, della commistione vertiginosa è definita neo-barocca, perché come nella storia dell'arte, il Rinascimento può diventare Barocco. Gli ex giovani del nuovo corso hollywoodiano sono diventati nel frattempo colossi, come Lucas e Spielberg, o autori di culto, come De Palma e Scorsese. Coppola, in veste di sultano, imperatore o stregone orchestra il suo cinema titanico staccandosi dalla realtà che lo circonda, evocando immagini e suggestioni senza pari. Pagando la sua ambizione anche a caro prezzo, con flop commerciali altrettanto senza pari.

Che fare di più dopo Apocalypse Now, dal punto di vista del potere del regista, del progetto culturale, del successo professionale? Coppola, al suo apice, decide di inventare nuove tecniche espressive sfruttando l'elettronica e contemporaneamente di resuscitare il cinema classico, reinventando lo studio system con gli Zoetrope Studios e puntando all'onnipotenza produttiva da Golden age (non è mai stato né umile né modesto). Un sogno lungo un giorno (1982) è la prima tappa del "progetto Coppola" post Apocalypse Now.



Un'operazione folle, costata 27 milioni di dollari (!) che è diventata uno degli esempi più clamorosi di fallimento commerciale. Coppola ha pagato letteralmente a caro prezzo Las Vegas totalmente ricostruita in studio per avere un controllo assoluto e maniacale sull'aspetto tecnico, in particolare la fotografia di Vittorio Storaro e Ronald Víctor García. E proprio la ricerca visiva, con il continuo sovrapporsi di immagini e di e trucchi elettronici, è il cuore pulsante del film, che in questo senso è un unicum da studiare. Il plot? Banalissimo: un uomo e una donna si tradiscono a vicenda, poi tornano insieme in un classico happy ending hollywoodiano. «Un nuovo tipo di storia d'amore del vecchio tipo», recita lo slogan di lancio. Impossibile dirlo meglio. E la critica si spacca letteralmente in due, anche se i detrattori sono in percentuale di gran lunga maggiore: «Fa sembrare The Blues Brothers come Alexander Nevskij», «Il circo Zoetrope è tornato!», «Le imprese tecnologiche di Coppola sono superflue, è come se Rembrandt dipingesse le uova di Pasqua».

Il "nuovo corso" coppoliano parte quindi con una sonora débâcle, ma il film è tutt'altro che trascurabile per capire l'ostinazione del regista di quegli anni. Un sogno lungo un giorno è il trampolino di lancio di un'utopia: Coppola, come Kurtz/Brando nei suoi lucidi deliri, vuole ricostruire un nuovo progetto di realtà andando alle origini del Mito. La chiave del film sta nella ricostruzione in studio di Las Vegas. La realtà oggettiva viene riprodotta in questa realtà altra. La stessa opera d'arte rivendica il suo diritto di esistere in quanto "riproducibile" e riprodotta al computer, dalla stedicam, dagli effetti elettronici o dalle luci antinaturalistiche della fotografia. La realtà, dunque, viene manipolata e resa spettacolo allo stato puro, in un film che è pura forma ed è il saggio di un intellettuale su un universo postmoderno che gioca con il musical e il mélo da romanzo Harmony.


E si arriva poi al 1983, con una coppia di film che rispecchia perfettamente lo spirito bigger than life di Coppola. Concepito come un'operazione cinematografica orientata a portare al cinema il giovane pubblico amante dei telefilm dei primi anni ‘80, I ragazzi della 56ª strada è il primo film su commissione cui Francis Ford Coppola si sottopone dopo il disastro commerciale di Un sogno lungo un giorno. Attingendo a piene mani dall'immaginario creato da Nicholas Ray con Gioventù bruciata (1955) contaminato con il serial alla Happy Days e con qualche concessione espressionista, il film è un disincantato ritratto vintage della viscerale vitalità dei giovani americani, dove l'obiettivo primario rimane l'intrattenimento del pubblico teenager e dove la riflessione generazionale viene volontariamente evitata, così come qualsiasi contestualizzazione storico-sociale. Rampa di lancio per un'intera generazione di attori destinati a diventare grandi tra gli anni '80 e '90, da Diane Lane a Tom Cruise passando per Matt Dillon e Patrick Swayze.


Questo e il successivo Rusty il selvaggio costituiscono un dittico quasi inscindibile, per quanto gli esiti finali non siano allo stesso livello. Sono due film "gemelli" centrali nel progetto di Hollywood Renaissance che aveva in mente Coppola in quegli anni. Due opere basate su due best sellers con al centro dei giovani ribelli (bande, moto e piccoli eroismi che sembrano fare parte di un unico universo) entrambi della scrittrice Susan Hinton ed entrambi ambientati a Tulsa, nel pieno Midwest. Due film uguali ma opposti nella messa in scena, tanto da diventare due testi filmici antitetici. I ragazzi  è il colore, Rusty è il bianco e nero; il primo è il realismo, il secondo è l'anti-realismo; il primo è la prosa, il secondo è la poesia. Se I ragazzi è la rappresentazione "normale" della realtà secondo le convenzioni cinematografiche, Rusty è la deformazione di quella realtà in un universo distorto. Due universi agli antipodi che hanno come anello di congiunzione la presenza di Matt Dillon in due ruoli cruciali.


Se I ragazzi è colore sgargiante e schermo panoramico, Rusty con il suo bianco e nero e il formato più quadrato torna indietro a Quarto potere e, attraverso Orson Welles, alle origini del cinema (alle avanguardie sovietiche, all'espressionismo tedesco e al surrealismo). La mdp non fa nulla per nascondere la sua presenza, con inquadrature sghembe e prospettive deformate. La realtà è destrutturata e ricomposta e ogni singola immagine vive di una sua unicità, Coppola forse non aveva mai spinto così in là il suo cinema sperimentale. Il plot, come in Un sogno lungo un giorno, nel precedente I ragazzi e, per certi versi, nel successivo Cotton Club, è un pretesto, un contenitore in cui in questo caso prende vita un rapporto mitico di amicizia, competizione e sacrificio tra due fratelli. Tulsa diventa la Los Angeles di Blade Runner, perché anche Rusty, a suo modo, è un film di fantascienza popolato da "replicanti" tristi. Siamo di fronte al punto d'arrivo del nuovo corso coppoliano, e di tutto il cinema americano contemporaneo.


I ragazzi, pensato come merce da vendere per risanare le casse di Coppola dopo il flop di Un sogno lungo un giorno, viene distribuito in tutta America ed è dato in pasto anche a tutte le sale di provincia; Rusty, invece, apre il New York Film Festival '83 (dove viene fischiato sonoramente), esce solo nelle grandi città cinefile (NY, Los Angeles, San Francisco) e viene messo subito in conto il disastro commerciale. Torna, ancora una volta, in maniera paradigmatica, il dualismo premeditato se non teorizzato, secondo la logica del "si deve fare/si vuole fare", da Coppola, il quale concepisce una coppia di film costituita da un'opera "commerciale" e da un'opera "personale". Non dimentichiamo che negli anni '70 Il padrino e Il padrino – Parte II, i due esempi più nobili di film manierista degli anni '70, come anche Chinatown, ovvero film che riprendevano codici classici e li riattualizzavano, si sono alternati a La conversazione e Apocalypse Now, due capolavori non manieristi ma modernisti, ovvero che non guardavano al passato ma davano vita a qualcosa di completamente inedito (il primo in ambito strettamente New Hollywood, l'altro segnando forse la più grande frattura nella storia del cinema).

Il 1984 è l'anno di Cotton Club, lussuoso ed elegante omaggio alla grande epoca dello swing-jazz, ricostruita in chiave volutamente sfarzosa ed estetizzante. I balletti di Gregory Hines, gli assoli di cornetta del protagonista, eseguiti davvero da Richard Gere, che già suonava la tromba durante il periodo liceale, e gli show musicali basati sulle note dei grandi artisti che fecero la storia del locale (Duke Ellington, Cab Calloway, Louis Armstrong) rappresentano la vera anima pulsante del film. A emergere, però, è l'impronta teorica del film: Coppola, nonostante abbia accettato la regia del film per mere questioni finanziarie, va oltre la commistione di generi, mette insieme il gangster movie anni '30 e ardite sperimentazioni tecniche contemporanee nella messa in scena, giungendo al canto del cigno della "restaurazione rivoluzionaria" operata in quegli anni. Il film unisce la matrice manierista de Il padrino e la modernità espressiva di Un sogno lungo un giorno, negando continuamente le convenzionicall'insegna della trasgressione della sintassi filmica (gli stereotipi gangster vengono messi in crisi da soluzioni di montaggio, interruzioni del ritmo e divagazioni che "distraggono" continuamente lo spettatore). Apprezzato dalla critica, il film è un flop al botteghino: costato 58 milioni di dollari, ne incassa poco meno di 30.


Dai fumosi ambienti anni '30 si passa alla malinconica operazione-nostalgia che guarda agli anni '60 di Peggy Sue si è sposata (1986), film-bomboniera concepito come una commedia per famiglie sulla scia dei tanti divertissement anni ‘80. Un ritorno al passato meno banale e frivolo di quanto dicano le apparenze, venato di un dolce disincanto che colloca il film  agli antipodi rispetto al viaggio nel tempo messo in scena l'anno prima da Zemeckis con Ritorno al futuro. Grande Kathleen Turner, volto iconico degli Eighties, che riesce a trasmettere tutta la vitalità interiore di una normale middle class woman. E, cosa non trascurabile, per Coppola finalmente arriva anche l'approvazione del pubblico pagante.


Dopo Giardini di pietra (1987), intimo dramma di guerra sulla elaborazione del lutto e sul dolore nato da una suggestione personale di Coppola (la morte in un tragico incidente del figlio Giancarlo poco prima dell'inizio delle riprese), è la volta del sottovalutato Tucker – Un uomo e il suo sogno (1988), film fondamentale per capire l'idea di cinema di Coppola nella sua sofferta ma estremamente affascinante produzione degli anni '80. Libero dai condizionamenti delle major, il genio di Detroit dà vita a un lussuoso e magniloquente affresco d'epoca ricolmo di riferimenti autobiografici su un uomo che, esattamente come ha fatto lui stesso con Hollywood negli anni '70, ha tentato di sfidare i poteri forti di un settore schiavo del denaro, ma è stato sconfitto e umiliato pubblicamente. La granduer della Hollywood della Golden age irrompe negli anni '80, in un'operazione filologicamente ineccepibile, che trasuda tutto il titanismo del suo autore, il quale si specchia perfettamente nel protagonista Tucker, intraprendente e innovativo self-made man pronto a sfidare la sconfitta a suon di imprese sulla carta irrealizzabili. Tucker, visionario progettista con in mente l'auto del futuro nella Chicago degli anni '40, ha rischiato sulla propria pelle il fallimento come Coppola, ha azzardato soluzioni impensabili per chiunque altro, si è fatto simbolo del sogno americano idealizzato. Eccezionale il contributo della fotografia di Vittorio Storaro e delle scenografie di Dean e Alex Tavoularis. Una chicca da riscoprire.


Coppola chiude i rutilanti anni '80 con un progetto di grande effetto, più interessante sulla carta di quanto non lo sia effettivamente per il suo valore strettamente cinematografico. Si tratta del film a episodi New York Stories (1989), ovvero il microcosmo della Grande Mela visto attraverso l'occhio affilato e partecipe di tre giganti: Martin Scorsese, Woody Allen e, appunto, Francis Ford Coppola, il quale ha sostituito all'ultimo Steven Spielberg. Il risultato finale è inferiore alla somma delle singole forze in campo, ma poco importa. Il segmento Lezioni dal vero di Scorsese, fotografato da Néstor Almendros, è una meraviglia, così come Edipo relitto, parabola alleniana a 18 carati esaltata dalle luci di Sven Nykvist. In mezzo c'è La vita senza Zoe, irrilevante storiella firmata controvoglia da Coppola, il quale sembra essere passato per sbaglio sul set con la mente già al capitolo conclusivo della saga su una certa famiglia Corleone.

Categorie

Maximal Interjector
Browser non supportato.