News
Il padrino – Parte II: la solitudine dell'outsider secondo Francis Ford Coppola

- Vanno a rischiare la vita per la patria.
- La patria viene dopo la famiglia, non te lo dimenticare.
- Io non la penso così.
- Lui non la pensa così..! E se non la pensi così, perché non pianti l'università e non vai ad arruolarti subito..?
- L'ho già fatto.


Titanismo: con riferimento alla ribellione dei Titani contro gli dèi dell’Olimpo e, in particolare, alla sfida di Promèteo contro il potere di Zeus – Atteggiamento di ribellione, pur nella consapevolezza del suo fallimento, contro tutte le forze superiori (divinità, destino, natura, potere dispotico sia politico sia economico-sociale, ecc.) che dominano l’uomo e ne opprimono gli slanci vitali, la libertà e la responsabilità stessa. (Treccani)



Era il 1972 quando Francis Ford Coppola, bisognoso di fondi dopo il sostanziale fallimento della casa di produzione American Zoetrope, accettò di girare Il padrino, dal romanzo feuilleton di Mario Puzo: ben lontano dal cospargersi il capo di cenere a causa di una situazione economica non certo brillante, chiese e pretese condizioni giudicate inizialmente impossibili e riuscì nell'impresa di mediazione tra commerciale e autoriale, creando un kolossal che avrebbe segnato per sempre la storia del cinema e spalancando le porte del proprio sogno (nemmeno troppo) proibito: essere un Deus ex Machina, un Autore/Dio, forse il più rappresentativo della settima arte insieme a Erich von Stroheim.


Nasce così l'architrave della New Hollywood che rilancia il concetto stesso di megaproduzione e cristallizza, rendendola iconica, la mafia siciliana, inaugurando, con il secondo capitolo del 1974, la serializzazione del prodotto. Coppola, in ogni caso, è ben deciso a mantenere il controllo sulla propria autonomia espressiva e non tollera che si sminuisca la capacità autoriale: l'occhio del Dio Regista è l'unica cosa che conti davvero. Con Il padrino – Parte II potenzia quindi la struttura, trasformata in un gioco di scatole cinesi grazie all'alternanza tra le vicende di un giovane Vito Corleone/De Niro, impegnato a gettare le basi del suo impero, e la crescita criminale di Michael Corleone/Pacino, novello Macbeth sempre più spietato e concentrato sul mantenimento del Potere, e crea sostanzialmente un riflesso increspato del capostipite.


Notorio il focus de Il padrino – Parte II: i riti, i meccanismi e le regole della famiglia Corleone si fanno metafora complessa e astratta del potere capitalistico nella sua accezione più metafisica e assoluta. Non c'è differenza di sorta tra Mafia e Capitalismo, entrambi meccanismi socio-economici che impongono un servizio non richiesto per poi eliminare chi lo rifiuta e ridurre in sostanziale schiavitù chi se ne avvale. Ma c'è di più, molto di più, in questo secondo segmento: è l'anima stessa della saga, Michael Corleone, a diventare motore narrativo e semantico, grazie al memorabile explicit che lo vede protagonista di un flashback relativo al compleanno di don Vito, con la famiglia riunita coinvolta in una discussione sulla scelta di Michael di arruolarsi.


Ed è così che il tragico destino di Mike emerge in tutta la sua desolazione: un perenne escluso, prima per volontà prettamente paterna di tenerlo fuori dagli "affari di famiglia" e garantirgli un futuro rispettabile, in seguito per incomprensione con i congiunti sul concetto di Patria («La patria viene dopo la famiglia, non te lo dimenticare»), poi per necessità di fuga dopo aver ristabilito, contro tutto e tutti, l'onore dei Corleone, infine per mantenere il Potere. Un Potere che costa caro, che inficia alle basi la struttura del clan, un Potere pagato con il sangue fraterno: l'omicidio di Fredo/Cazale è un atto irreversibile, da cui non si torna indietro e che segnerà per sempre Michael («Ho ucciso... ho ordinato di uccidere mio fratello. Mi aveva fatto uno sgarbo. Ho ucciso la carne di mia madre... Ho ucciso la carne di mio padre!» – Il padrino – Parte III, 1990).


La dissolvenza che incrocia Mike abbandonato a tavola mentre i fratelli accolgono festanti il padre e Michael Corleone solo su una panchina immerso in un presente che sembra per sempre compromesso diventa quindi potente metafora della saga stessa: esclusione e solitudine. E nella figura macbethiana del giovane Corleone è impossibile non cogliere echi dello stesso Coppola, spesso condannato al fallimento e all'isolamento dalla sua stessa megalomania.


«Death is what makes life an event» (Francis Ford Coppola).


Sara Barbieri

Categorie

Maximal Interjector
Browser non supportato.