Gli occhiali dalla montatura affilata e lo sguardo accigliato, David Cronenberg parrebbe incarnare l’idealtipico personaggio dell’anziano raccontastorie: burbero all’apparenza ma che poi si lascia andare a confessioni molto personali. Altrimenti non avrebbe potuto fare lo scorso sabato, alla serata inaugurale della nuova edizione del Busto Arsizio Film Festival: anche perché la sua nuova creatura cinematografica, The Shrouds (da noi Segreti Sepolti), è un film davvero autobiografico, tant’è che lo stesso protagonista Vincent Cassel ha un taglio di capelli del tutto identico a quello del regista canadese (e anch’egli guida una Tesla, come ci racconta David). E non riesce a superare il lutto dovuto alla perdita della moglie, morta di cancro sette anni prima, in un film in cui le congetture e i complottismi assumono una portata tale che il protagonista, e lo spettatore con lui, finiscono per non saper più a chi credere.
Alla presenza di Giulio Sangiorgio, direttore artistico del festival varesotto, di Gianni Canova e accolto dalla standing ovation del foltissimo pubblico del Cinema Teatro Manzoni presente per l’anteprima nazionale di The Shrouds, David Cronenberg è in collegamento Skype da Londra per un attacco influenzale che gli ha impedito di volare in Italia. E, incalzato dalle domande puntuali dei due critici, subito sottolinea la componente autobiografica, più o meno invasiva, di questa come delle precedenti sue pellicole. Anche se, rimarca, il pubblico non necessita di conoscere la sua vita per comprendere appieno questo film, che comunque è basato su una storia “più o meno” vera.
Come Cronenberg giustifica, invece, il delirio paranoide che Cassel affronta all’interno del film? Evidenziando che se è vero che oggigiorno è difficile discernere il falso dal vero, specie all’interno degli stessi mass media, è anche vero che le teorie complottistiche nel film non hanno una valenza politica. E, anzi – insinua il regista – forse che il complotto sia parte di una strategia che aiuta chi vive ad affrontare la perdita di chi è morto?
Il regista glissa con scaltrezza la domanda relativa a una possibile connessione con Alfred Hitchcock e che segue alla considerazione per cui la moglie di Cassel nel film si chiama Rebecca, come nel film del 1940. Cronenberg non è avvezzo all’arte citazionistica, cui sono invece devoti altri celebri cineasti, e non concede neppure spazio all’autoreferenzialità: quando scrive un nuovo film, crea un nuovo mondo, che è altro rispetto ai mondi frutto dei suoi stessi precedenti film, al netto del fatto che “io e la mia stessa sensibilità” ne rappresentino il comune denominatore.
Cronenberg è sempre più essenziale e lavora per sottrazione sul set, per sua stessa ammissione: con l’età gira sempre meno film, sempre meno takes, sperimenta meno con i generi ma è assolutamente consapevole del regista che è. Un regista che ha deciso di assumere una linea stilistica sempre più improntata al dialogo, più frontale, più teatrale – da A Dangerous Method in poi, aggiungiamo noi. E che è consapevole dell’assoluta centralità della colonna sonora, forte anche del rapporto atavico e quasi telepatico con il “suo” compositore Howard Shore. Al netto, e conclude, dell’indubbia e odierna difficoltà nel farsi produrre un film: da qui la presenza di un marchio come Saint Laurent nei titoli di testa di The Shrouds, con cui il regista spera di collaborare ancora in futuro.
Enrico Riziero