Nel 2008 Christopher Nolan stravolge tutti i canoni del cinecomic classico, con Il Cavaliere Oscuro. Joker è l’assoluto protagonista, con Heath Ledger chiamato a raccogliere la pesante eredità di Jack Nicholson: l’Oscar è più che meritato per un’interpretazione strepitosa, un Joker più crudo, più reale, anarchico, portatore del caos. Lo esplicita lui stesso, di fronte ad un Harvey Dent ormai divenuto Due Facce: «Ho notato che nessuno entra nel panico quando le cose vano secondo i piani, anche se i piani sono mostruosi [...] Se introduci un po’ di anarchia, se stravolgi l’ordine prestabilito, tutto diventa improvvisamente caos. Sono un agente del caos. E sai qual è il bello del caos? È equo».
Ecco 5 momenti iconici di un personaggio indimenticabile:
LA RAPINA ALLA BANCA:
Esterno, un uomo girato di spalle viene inquadrato, la macchina da presa si avvicina sempre di più, fino al primo piano del borsone a tracolla e della maschera da clown che tiene nella mano sinistra. L’uomo sale su un auto, dove ad accoglierlo ci sono altri due uomini mascherati da clown: parlano di una rapina e di come dividersi il bottino. Parlano anche di Joker, come l’ideatore del piano che è rimasto a casa ad attendere. Il montaggio alternato porta ad altri due criminali sul tetto dell’edificio: “Sai perché lo chiamano Joker?”. L’azione entra nel vivo: dopo l’ingresso in banca si torna sul tetto, dove uno dei due malviventi uccide l’altro non appena quest’ultimo ha terminato il suo lavoro. E lo stesso avviene con tutti i membri del gruppo. Il piano è chiaro: un effetto domino dove l’ultimo a rimanere in vita avrà tutti i soldi rubati alla banca per sé. La tensione sale, un climax ascendente in cui la colonna sonora di Hans Zimmer gioca un ruolo fondamentale, un crescendo che culmina con l’ultimo criminale rimasto, quello che aspettava con la maschera in mano, quello che fino al momento in cui il direttore della banca non lo incalza riempiendolo di insulti non aveva aperto bocca, ma che alla domanda “Tu in cosa credi?” risponde “Io credo semplicemente che quello che non ti uccide ti rende... più strano”. La maschera è tolta, Joker si mostra, primissimo piano, prima di perdersi nel traffico su un autobus scolastico, con la refurtiva.
"HOW ABOUT A MAGIC TRICK?"
Salvatore Maroni lo ha appena definito uno zero, “Uno schiodato con un costume viola da due soldi e la faccia truccata”, circondato dagli sguardi compiaciuti dei mafiosi della città. Poi, una risata arriva dall’esterno, una risata mirata ai presenti, diabolica: Joker entra in scena, prendendosi gioco di loro, sfidandoli. Ma che non sia tempo di giocare, che le sue intenzioni siano serie, lo chiarisce immediatamente: uno dei mafiosi chiede di dargli una ragione per non dire a uno dei suoi uomini di staccargli la testa e la sua risposta è spiazzante, peer tutti. “Va bene un trucchetto di magia?”, poi pianta una matita nel tavolo e prosegue “Adesso questa matita la faccio sparire”, un attimo prima di sbattere la testa di un atro mafioso sul tavolo: una volta risollevata, la matita non ci sarà più. Joker centra il punto: Batman. Propone di eliminarlo, evidenziando che non lo ha fatto perché “se sei bravo a fare una cosa mai farla gratis”. Chiede la metà dei soldi del colpo e quando Gamble, nuovamente lui, gli dà del pazzo la macchina da presa si sofferma sul volto di Joker che enfatizza un “No, per niente”. Joker provoca Gamble, che risponde mettendo una taglia sulla sua testa. L’uscita di scena è perfetta: minaccia di farsi saltare in aria, per non essere agredito, per poi lasciare il suo biglietto da visita, la carta con il Jolly, nel caso i presenti volessero considerare la sua offerta “più seriamente”.
"WHY SO SERIOUS?"
Solo questione di tempo, prima che a Gamble venisse recapitato il cadavere di Joker. “Morto, erano 500.000...” in quel momento Joker si alza, mette il coltello in bocca al mafioso e chiede: “E quanto era vivo?”. E poi inizia uno dei monologhi più iconici del film, in cui fornisce una delle diverse versioni su come si sia fatto le sue cicatrici: “Mio padre era un alcolista... e un maniaco. E una notte dà di matto ancora più del solito. Mamma prende un coltello da cucina per difendersi, ma questo a lui non piace... neanche... un... pochetto. Allora, mentre io li guardo, la colpisce col coltello, ridendo mentre lo fa.Si gira verso di me e dice ‘Perché sei così serio?’. Viene verso di me con il coltello...’Perché sei così serio?’...Poi mi ficca la lama in bocca. ‘Mettiamo un bel sorriso su quel faccino. E...’Perché sei così serio?’ ”. La colonna sonora di Zimmer è ancora una volta perfetta, ma ad essere significativa è la mimica facciale di Ledger, che fa comprendere perfettamente come Joker si stia completamente inventando la sua storia, aggiungendo anche un cenno di compiacimento mentre arriva verso il finale, conscio di aver centrato il segno con la giusta efficacia e teatralità. Why so serious?
"MI SEMBRI UN PO' TESA... È PER LE CICATRICI?"
La seconda spiegazione sull’origine delle cicatrici viene offerta a Rachel, durante la festa a casa Wayne, cui Joker fa irruzione con i suoi scagnozzi in cerca di Harvey Dent. Ingresso dopo il quale Joker prende un bicchiere di champagne, gettandone quasi tutto il contenuto, lo stesso gesto fatto poco prima in maniera diversa da Bruce Wayne: i due sono sempre più l’uno la nemesi dell’altro. “Tu devi essere la pollastra di Harvey”: pian piano si avvicina a lei, le gira attorno, assieme alla macchina da presa, con lei visibilmente impaurita: “Oh, mi sembri un po’ tesa. È per le cicatrici?”. Per lo spettatore è un déjà-vu, ricorda molto il “Danzi mai con il diavolo nel pallido plenilunio” del Joker di Jack Nicholson, una sorta di frase da ripetere come rito prima di un omicidio, e quindi il destino di Rachel sembra segnato. Ma la storia, questa volta, è differente: “Avevo una moglie, era bellissima, proprio come te. Lei mi diceva sempre che mi preoccupavo troppo, mi diceva che dovevo sorridere di più. Lei giocava d’azzardo e si metteva in un mare di guai con gli strozzini. Un giorno le sfregiano il viso, ma non abbiamo i soldi per la plastica. Lei non lo sopporta. Ma io voglio vederla tornare a sorridere, voglio che lei sappia che non me ne importa delle cicatrici, e allora mi ficco il rasoio in bocca e mi riduco così. Da solo”. La macchina da presa, dopo aver danzato attorno ai due, ora è fissa sul volto di Rachel, attonita e impaurita. “E sai che succede? Non ce la fa neanche a guardarmi. E mi ha lasciato. Ora ne vedo il lato buffo. Ora sorrido sempre”. Rachel vede uno spiraglio e lo colpisce, la tensione cade, il tono cambia, entra Batman: lo scontro fisico ha inizio.
IL GRAN FINALE
Tra le sequenze migliori dell’opera, sicuramente l’esperimento sadico concepito da Joker su una popolazione in crisi di panico. Su una nave, un gruppo di cittadini, sull’altra un gruppo di detenuti fuggiti dalla prigione. “Stasera parteciperete tutti ad un esperimento sociale”: è Joker che parla, dalle casse di entrambe le imbarcazioni. “Attraverso la magia del carburante diesel e del nitrato di ammonio, sono pronto fin d’ora a farvi saltare tutti quanti in aria”. Le due navi non possono contattarsi. “Se uno solo tenta di scappare dalla nave, morirete tutti”. Dopo la minaccia, le istruzioni: “Ogni nave ha un telecomando per far saltare l’altra. A mezzanotte farò saltare tutti in aria. Però se uno di voi premerà il bottone, lascerò libera la sua nave. Quindi? Chi rimarrà? La collezione di letame dei super ricercati di Harvey Dent o i dolci e innocenti civili? A voi la scelta”. Sembra chiudere, ma non prima dell’ultima, sadica, precisazione: “E vi consiglio di decidere in fretta, i passeggeri dell’altra nave potrebbero non essere tanto altruisti”. La paura pervade le due imbarcazioni, il confine tra democrazia, civiltà, bene e male, giusto o sbagliato, si fa sempre più sottile, fino a sparire. Nolan è un maestro nel gestire il montaggio alternato, manipolando l’ansia tra le vittime e giocando con la tensione negli spettatori, alternando sequenze di lotta tra Batman e Joker, le discussioni tra i civili e tra i detenuti, mentre l’orologio sulle navi viene inquadrato diverse volte. Il tempo scorre, troppo veloce per una decisione così delicata, eppure così semplice, come dimostra il finale tutt’altro che scontato. Il detenuto apparentemente più spaventoso prende in mano il detonatore e lo getta fuori dalla finestra della nave. Joker ha perso, ed è proprio uno di quelli definiti scarti della società ad essere il primo a prendere la decisione giusta. Ma Joker non si dà per vinto, dopo aver abbozzato la storia delle cicatrici con Batman viene appeso a testa in giù, chisando: “La follia, come sai, è come la gravità. Basta solo... una piccola spinta”