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La grande abbuffata a Cannes: cronaca di uno scandalo annunciato

Sono molti i film che nel corso degli anni hanno sconvolto il Festival di Cannes: basti pensare al Lars von Trier di Antichrist, al Vincent Gallo di The Brown Bunny o al Gaspar Noé di Irréversible. Ma fu il 1973 l'anno dello Scandalo, quello vero, quello feroce e inarrestabile.
1973, anno de La grande abbuffata di Marco Ferreri. La trama: quattro amici (Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret) si ritirano in una cupa villa di Parigi, accompagnati da alcune prostitute e da una paffuta maestrina (Andréa Ferréol), per consumare un emblematico suicidio a base di cibo e sesso.
Abbastanza per turbare gli animi, anche quelli meno sensibili.

«Siete grotteschi, grotteschi e disgustosi. Perché mangiate, se non avete fame? Non è possibile, non è fame!».

L'agghiacciante e disperato apologo sulla deriva dell'uomo contemporaneo, immolato al culto del superfluo e destinato a spegnersi dopo una vita consacrata all'inettitudine, elegge a veicolo significante l'allegoria (a partire dai quattro protagonisti, topoi di ossessioni carnali e ideologiche), riducendo al minimo la narrazione attraverso una giustapposizione di sequenze-simbolo e tratteggiando una quotidianità esemplificata nelle azioni più elementari (mangiare, dormire, copulare, defecare). Ciò che emerge è un ritratto nerissimo e spietato sulle idiosincrasie tipicamente borghesi, detonazione di un annientamento (sociale e morale) tanto temuto quanto inevitabile.

"Ho voluto raccontare la storia di quattro macchine fisiologiche che, prima di avere dei sentimenti, hanno delle necessità": regista assai poco incline al compromesso, Ferreri (che non si risparmiò durante la conferenza stampa, piuttosto animata, affermando: "se il pubblico si scuote per queste cose, ammazza che pubblico") e impegnato in una crociata contro il consumismo imperante tramite un'opera programmaticamente sgradevole, ma quanto necessaria.
Il concetto, però, non fu compreso: il 17 maggio 1973 il film venne proiettato, suscitando lo sdegno. "Giornata degradante per il Festival, umiliazione per la Francia, vergogna ai produttori e agli attori", tuonò la stampa. Una bagarre annunciata ("qualunque cosa succeda, restate calmi", disse il presentatore della serata di chiusura José Artur), che però non impedì a La grande abbuffata, nonostante i fischi e gli sputi degli spettatori, di vincere il Premio FIPRESCI ex aequo con La maman et la putain di Jean Eustache. Con buona pace del presidente di giuria Ingrid Bergman.


Cinico, nichilista, disturbante, imprescindibile: un film moderno come il suo autore, osteggiato, censurato e sopravvissuto fino a divenire un classico.
"Un sorridente studio della fisiologia intestinale, una fiaba visionaria sulla società dei consumi, in tutta la sua oscenità, e sull'eccesso come arte." (Gilles Jacob)

Contributo: Allociné

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