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Le 10 migliori interpretazioni femminili della storia del Festival di Cannes
La storia del Festival di Cannes l'hanno scritta i film che hanno ottenuto la Palma d'oro, quelli che l'avrebbero meritata e, invece, sono rimasti a bocca asciutta, i registi, gli attori e le attrici che hanno saputo dare vita a memorabili personaggi.

Ecco la classifica delle 10 migliori interpretazioni femminili premiate al festival più glamour del mondo:

1) Giulietta Masina, 1957 (Le notti di Cabiria)



In quello che è, probabilmente, il capolavoro della prima parte della carriera di Fellini, Giulietta Masina dà il meglio di sé attraverso un'interpretazione assolutamente memorabile, in un film colmo di vitalità e momenti memorabili, influenzato dall'intimità calorosa di una periferia variopinta e piena di liturgie, di riti, di personaggi che sono l'uno il completamento dell'altro, come in un mosaico dai tasselli imperfetti. La piccola prostituta delle borgate romane Cabiria è poesia, sincerità, commozione, dolore, purezza e gioia di vivere. Da brividi.

2) Holly Hunter, 1993 (Lezioni di piano)



Prix d'interprétation féminine a Cannes, Oscar, Golden Globe e Bafta. Questi i riconoscimenti ottenuti da Holly Hunter per la sua eccezionale prova nello splendido mélo firmato Jane Campion, la quale, attraverso il consueto sguardo sensibile e viscerale, ha scritto e diretto un potente dramma di fosco romanticismo che contrappone pulsione sessuale e purezza virginale, assordante silenzio e parola, innocenza e colpevolezza, sopraffazione e sottomissione. Il fascino selvaggio dell'ostile paesaggio neozelandese battuto dalla pioggia e la colonna sonora di Michael Nyman concorrono a un risultato finale di rara suggestione. Un inno alla vita, prima ancora che uno straordinario ritratto femminile. Palma d'oro al miglior film, ex aequo con Addio mia concubina di Chen Kaige, e tre premi Oscar (nell'anno di Schindler's List). «Io non penso a me come una creatura silenziosa, e questo grazie al mio pianoforte».

3) Isabelle Huppert, 2001 (La pianista)



Osannata dalla critica internazionale, Isabelle Huppert è, con buona probabilità, la più grande attrice vivente insieme a Juliette Binoche. Raffinata e austera, ha fatto del suo portamento distaccato e del suo charme tipicamente francese un inimitabile tratto distintivo. Regina indiscussa dei festival (Orso d'argento come miglior attrice a Berlino, due Prix d'interprétation féminine a Cannes, due Coppe Volpi e Leone d'oro alla carriera a Venezia), ne La pianista porta sullo schermo un personaggio memorabile, che scava a fondo nei territori estremi e malsani della psiche. Repressione sessuale, perversioni sadomasochistiche e voyeurismo sono al centro di un'opera cruda e respingente, resa ancora più inquietante dall'estrema eleganza formale. Un tassello fondamentale della ricerca del regista e sceneggiatore Michael Haneke sulle deviazioni umane e sociali, che si è aggiudicato anche il Prix d'interprétation masculine (Benoît Magimel) e il Grand Prix Speciale della Giuria, nell'anno in cui la Palma d'oro al miglior film è andata a La stanza del figlio di Nanni Moretti.

4) Sophia Loren, 1961 (La ciociara)



Attraverso una produzione in grande stile, Vittorio De Sica mette in scena l'omonimo romanzo di Alberto Moravia, sviluppando il tema bellico adattato al punto di vista popolano. La sceneggiatura di Cesare Zavattini punta alla semplicità e alla linearità e tratteggia la fondamentale incomprensione contadina per ogni tipo di cambiamento politico o sociale. La presenza esplosiva della Loren, perfetta in una parte che era stata pensata per Anna Magnani, riesce a rendere il film quasi epico, con momenti di vita quotidiana funzionali a comprendere il necessario pragmatismo contadino e scene entrate di diritto nell'immaginario collettivo. Una interpretazione entrata di diritto nella storia del cinema, che è valsa alla Loren anche Oscar, David di Donatello e Nastro d'argento.

5) Rooney Mara, 2015 (Carol)



Mettendo ancora una volta al centro della sua opera una passione tormentata tra due persone costrette a combattere contro i pregiudizi di una società ottusa e perbenista, Todd Haynes si confronta di nuovo con il fiammeggiante mélo anni '50, attualizzandone però i topoi per dare vita a una pellicola dal sapore classico ma dal sottotesto fortemente contemporaneo. Un manuale di regia, fotografia e senso plastico della messa in scena, esaltato dalle magnifiche interpretazioni di Rooney Mara e Cate Blanchett, intense e credibili in un confronto che vede specchiarsi le fragilità dell'una negli occhi dell'altra. Avrebbero meritato entrambe il premio a Cannes.

6) Irène Jacob, 1991 (La doppia vita di Veronica)



Incentrato su uno dei temi più cari a Kiéslowski, ossia le profonde connessioni tra esseri umani che travalicano spazio e tempo influenzandosi reciprocamente, il film è un racconto denso di simbologie e suggestioni che acquisiscono senso e prendono forma con una raffinatezza propria solo delle più grandi opere contemporanee. Veronika/Véronique sono le due facce di una stessa medaglia: da una parte due variabili di uno stesso personaggio, le cui vite sono come due what if che si sviluppano paralleli sullo stesso piano spazio-temporale; d'altra sono, proprio in virtù di questa compresenza, l'una la premessa dell'altra, e viceversa. E Irène Jacob, nell'interpretare entrambi i personaggi, raggiunge vette espressive ancora oggi insuperate. 

7) Bette Davis, 1951 (Eva contro Eva)



Ispirato al racconto The Wisdom of Eve di Mary Orr, il film è uno dei più acuti e amari attacchi al sistema dello show business, nonché l'opera in cui la poetica di Mankiewicz raggiunge i risultati più compiuti e mirabili. La sopravvivenza in un mondo sempre più cinico e spietato è garantita solo dalla finzione, dalla messa in scena e dall'inganno, mentre la manipolazione è un'arma che ciascuno dei personaggi usa per il proprio tornaconto personale. Un capolavoro assoluto della storia del cinema, reso immortale anche dalle mirabibili interpretazioni di un cast in stato di grazia, che vede fronteggiarsi Anne Baxter, George Sanders, Thelma Ritter, Marilyn Monroe e, soprattutto, una leggendaria Bette Davis, forse la più grande attrice di tutti i tempi.

8) Bjӧrk, 2000 (Dancer in the Dark)



Cantante islandese alla sua prima prova da protagonista per il grande schermo, Bjӧrk ha indubbiamente segnato la storia del festival grazie a una performance strepitosa, dal punto di vista vocale e non solo, che rende magnificamente tutte le sfumature di un personaggio unico. L'anti-musical sperimentale di von Trier, premiato con la Palma d'oro per il miglior film, si configura come un tour de force in cui l'attrice sfrutta tutte le potenzialità di un innovativo linguaggio cinematografico, oggetto anche di durissime contestazioni. Provocatorio, crudele, spiazzante. Bellissimo.

9) Isabelle Adjani, 1981 (Possession e Quartet)



Misteriosa e sensuale, Isabelle Adjani, attrice simbolo del cinema europeo anni '70 e '80, ha collaborato con alcuni dei più grandi autori sulla piazza (Truffaut, Polanski, Herzog, ad esempio), dimostrando di essere perfettamente a suo agio nei contesti più disparati. Ma, il film che l'ha consacrata alla storia, è sicuramente Possession, horror lovecraftiano di culto firmato Andrzej Zuławski. La sua (doppia) interpretazione, di sconvolgente intensità, restituisce alla perfezione l'atmosfera delirante di una pellicola estrema nel suo radicale nichilismo. Il Prix d'interprétation féminine che le viene assegnato a Cannes 1981, vale anche per la sua prova in Quartet, dramma in costume del sempre raffinato James Ivory: un extra abbastanza superfluo, che comunque rende giustizia alla poliedricità di una splendida interprete.

10) Susannah York, 1972 (Images)



Una donna è tormentata da visioni che la spingono alle soglie della follia. Poco amata da un marito che la trascura, vedrà la presenza di un ex compagno farsi sempre più insistente, al punto da compromettere sensibilmente il suo già fragile equilibrio psichico e il caos delle sue immagini mentali. L'opera più criptica e visionaria di Robert Altman è l'occasione per Susannah York, protagonista assoluta della pellicola, di dimostrare il suo sconfinato talento, impegnata in un ruolo tutt'altro che semplice. Nonostante il film sia spesso vittima del suo approccio sbalestrato, raramente instabilità mentale e malessere sono stati resi sullo schermo con partecipazione così totalizzante.

Davide Dubinelli
Maximal Interjector
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