«Non c'è nulla di più tossico e letale di un cucciolo umano. Basta un suo tocco e siete morti! Se lasciate la porta aperta, un bambino potrebbe entrare nella nostra fabbrica, nel mondo dei mostri!»
È il 2001 e Pixar è ormai una realtà affermata nel mondo del cinema d’animazione, dopo aver strabiliato con Toy Story (1995), A Bug’s Life – Megaminimondo (1998) e Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa (1999), tutti diretti dall’allora presidente John Lasseter. Opere che trovano il loro fil rouge in un ribaltamento di prospettiva che diverrà a tutti gli effetti un elemento cardine della poetica della Pixar, che prosegue con coerenza il suo discorso con l’opera successiva: Monsters & Co., esordio alla regia di Pete Docter. Dopo essere stato sceneggiatore dei due Toy Story, Docter decide di raccontare una storia che parli di mostri, di porte socchiuse, ddi tutte le paure dei bambini che possono prendere vita come hanno fatto i giocattoli nelle due opere precedenti, ma lo fa provando a mettersi dal punto di vista degli stessi mostri: e se fossero loro ad avere paura? Se per loro fossero i bambini ad essere pericolosi? E se non fossero cattivi, ma stessero semplicemente facendo il loro lavoro? È con queste premesse che avviene la creazione di due personaggi divenuti iconici: Mike Wazowski e James “Sulley” Sullivan.
«Buongiorno, Mostropoli! Sono le sei passate da cinque minuti nella grande metropoli dei mostri. La temperatura è piacevolmente intorno ai 20 gradi, il che è un'ottima notizia per voi "rettili" e sembra una giornata perfetta per starsene a letto e dormire fino a tardi... o semplicemente, lavorare su quella flaccida ciccia che se ne sta tranquilla a far niente!! In piedi, Sulley!!»
Dopo Woody e Buzz, la nuova coppia di amici firmata Pixar è formata da due spaventatori, ossia mostri che si occupano di spaventare i bambini in modo da ricavare energia elettrica dalle loro urla di terrore. Un primo ribaltamento, in quanto i mostri stanno dunque semplicemente svolgendo la loro professione, senza crudeltà o intenti malvagi. La coppia, doppiata in originale da Billy Crystal (Mike) e John Goodman (Sulley), funziona alla perfezione, al punto che diversi anni dopo verrà anche realizzato un prequel in cui si racconta come i due i siano conosciuti alla Monsters University e di come il rapporto non sia sempre stato idilliaco. In particolare, al momento dell’uscita in sala, lo stupore era tutto rivolto verso Sulley, visto che Pixar ha nuovamente strabiliato con i suoi effetti visivi: per animarlo è stato usato FitZ, un programma in grado di animare in modo indipendente ogni pelo, per un totale di 3.200.000, arrivati anche a 14.500.00 nelle sequenze di inseguimento.
«Mike, quella non è la porta di Boo!»
«Boo? Che cos'è Boo?»
«È così che ho deciso di chiamarla! Perché, non ti piace?!»
«Sulley, non devi darle un nome! Quando dai un nome a una cosa, ti ci affezioni!»
Anche i mostri provano affetto, lo aveva già mostrato E.T., ma con Sulley si va addirittura oltre, quasi nel campo dell’accudimento. Boo – così lui chiama la piccola che si è intrufolata di nascosto nel mondo dei mostri – è infatti una bambina che gli insegna in poco tempo come gli esseri umani non siano realmente pericolosi e come le grida di terrore non siano l’unica strada per ottenere energia. Il loro rapporto è un crescendo emozionale che pian piano traforma il re degli spaventatori in una figura quasi paterna, una sorta di fratello maggiore per la piccola, immersa in un mondo totalmente ostile che vorrebbe solo farla sparire definitivamente. Ribaltamento, ancora una volta: dovrebbe essere lei ad essere spaventata, invece lo sono i mostri. E se da un lato è vero che Sulley cercherà di salvare Boo, la realtà è che è la bambina a salvare lui e tutta la Monsters Inc.
«Niente male, eh? Solo chi ha una padronanza assoluta dei tempi comici, riesce a procurare tutta questa energia in un sol colpo!»
«Ah ah! E il fatto che le risate siano 10 volte più potenti delle urla, non c'entra niente, eh?»
Uno scambio che potrebbe essere percepito ad un livello letterale, ossia parlando di quanto accaduto nel film, ma che con un occhio extradiegetico sembrerebbe parlare del film stesso: un film di mostri che invece di spaventare opta per scatenare risate (e pianti commossi, nel finale) arrivando per questo ad avere successo. Un’opera che non dimentica le origini (notevole l’omaggio ad Harryhausen, maetro del cinema stop-motion il cui nome è quello del ristorante dove sta cenando Mike all’arrivo di Boo) e che ha ricevuto 4 nomination agli Oscar, trionfando con la canzone If I Didn’t Have You di Randy Newman. L’Oscar al miglior film d’animazione, il primo della storia del cinema, andrà a Shrek, ma ci sarà tempo per Pixar per rifarsi, soprattutto per il regista Pete Docter e per il co-regista Lee Unkrich, che collezioneranno 5 statuette: il primo per Up, Inside Out e Soul, il secondo per Toy Story 3 e Coco.
Lorenzo Bianchi
È il 2001 e Pixar è ormai una realtà affermata nel mondo del cinema d’animazione, dopo aver strabiliato con Toy Story (1995), A Bug’s Life – Megaminimondo (1998) e Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa (1999), tutti diretti dall’allora presidente John Lasseter. Opere che trovano il loro fil rouge in un ribaltamento di prospettiva che diverrà a tutti gli effetti un elemento cardine della poetica della Pixar, che prosegue con coerenza il suo discorso con l’opera successiva: Monsters & Co., esordio alla regia di Pete Docter. Dopo essere stato sceneggiatore dei due Toy Story, Docter decide di raccontare una storia che parli di mostri, di porte socchiuse, ddi tutte le paure dei bambini che possono prendere vita come hanno fatto i giocattoli nelle due opere precedenti, ma lo fa provando a mettersi dal punto di vista degli stessi mostri: e se fossero loro ad avere paura? Se per loro fossero i bambini ad essere pericolosi? E se non fossero cattivi, ma stessero semplicemente facendo il loro lavoro? È con queste premesse che avviene la creazione di due personaggi divenuti iconici: Mike Wazowski e James “Sulley” Sullivan.
«Buongiorno, Mostropoli! Sono le sei passate da cinque minuti nella grande metropoli dei mostri. La temperatura è piacevolmente intorno ai 20 gradi, il che è un'ottima notizia per voi "rettili" e sembra una giornata perfetta per starsene a letto e dormire fino a tardi... o semplicemente, lavorare su quella flaccida ciccia che se ne sta tranquilla a far niente!! In piedi, Sulley!!»
Dopo Woody e Buzz, la nuova coppia di amici firmata Pixar è formata da due spaventatori, ossia mostri che si occupano di spaventare i bambini in modo da ricavare energia elettrica dalle loro urla di terrore. Un primo ribaltamento, in quanto i mostri stanno dunque semplicemente svolgendo la loro professione, senza crudeltà o intenti malvagi. La coppia, doppiata in originale da Billy Crystal (Mike) e John Goodman (Sulley), funziona alla perfezione, al punto che diversi anni dopo verrà anche realizzato un prequel in cui si racconta come i due i siano conosciuti alla Monsters University e di come il rapporto non sia sempre stato idilliaco. In particolare, al momento dell’uscita in sala, lo stupore era tutto rivolto verso Sulley, visto che Pixar ha nuovamente strabiliato con i suoi effetti visivi: per animarlo è stato usato FitZ, un programma in grado di animare in modo indipendente ogni pelo, per un totale di 3.200.000, arrivati anche a 14.500.00 nelle sequenze di inseguimento.
«Mike, quella non è la porta di Boo!»
«Boo? Che cos'è Boo?»
«È così che ho deciso di chiamarla! Perché, non ti piace?!»
«Sulley, non devi darle un nome! Quando dai un nome a una cosa, ti ci affezioni!»
Anche i mostri provano affetto, lo aveva già mostrato E.T., ma con Sulley si va addirittura oltre, quasi nel campo dell’accudimento. Boo – così lui chiama la piccola che si è intrufolata di nascosto nel mondo dei mostri – è infatti una bambina che gli insegna in poco tempo come gli esseri umani non siano realmente pericolosi e come le grida di terrore non siano l’unica strada per ottenere energia. Il loro rapporto è un crescendo emozionale che pian piano traforma il re degli spaventatori in una figura quasi paterna, una sorta di fratello maggiore per la piccola, immersa in un mondo totalmente ostile che vorrebbe solo farla sparire definitivamente. Ribaltamento, ancora una volta: dovrebbe essere lei ad essere spaventata, invece lo sono i mostri. E se da un lato è vero che Sulley cercherà di salvare Boo, la realtà è che è la bambina a salvare lui e tutta la Monsters Inc.
«Niente male, eh? Solo chi ha una padronanza assoluta dei tempi comici, riesce a procurare tutta questa energia in un sol colpo!»
«Ah ah! E il fatto che le risate siano 10 volte più potenti delle urla, non c'entra niente, eh?»
Uno scambio che potrebbe essere percepito ad un livello letterale, ossia parlando di quanto accaduto nel film, ma che con un occhio extradiegetico sembrerebbe parlare del film stesso: un film di mostri che invece di spaventare opta per scatenare risate (e pianti commossi, nel finale) arrivando per questo ad avere successo. Un’opera che non dimentica le origini (notevole l’omaggio ad Harryhausen, maetro del cinema stop-motion il cui nome è quello del ristorante dove sta cenando Mike all’arrivo di Boo) e che ha ricevuto 4 nomination agli Oscar, trionfando con la canzone If I Didn’t Have You di Randy Newman. L’Oscar al miglior film d’animazione, il primo della storia del cinema, andrà a Shrek, ma ci sarà tempo per Pixar per rifarsi, soprattutto per il regista Pete Docter e per il co-regista Lee Unkrich, che collezioneranno 5 statuette: il primo per Up, Inside Out e Soul, il secondo per Toy Story 3 e Coco.
Lorenzo Bianchi