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Nymph()maniac di Lars von Trier, un'analisi
giovedì 3 aprile 2025 alle 12:12

Capitolo conclusivo della “Trilogia della Depressione” di Lars Von Trier, iniziata nel 2009 con Antichrist e proseguita con Melancholia nel 2011, Nymph()maniac venne definito da Nocturno come “Il film dei film sull’esistenza umana” e tale affermazione, sotto diversi punti di vista, può essere considerata tutt’altro che avventata. Non a caso ci troviamo davanti a qualcosa che, oltre ad una pellicola, può essere interpretata come una vera e propria opera transmediale dove cinema, musica e arte entrano in contatto utilizzando la componente dell’erotismo ossessivo come controversa chiave di dialogo. Nymph()maniac si contraddistingue senza alcun dubbio, all’interno della filmografia del regista danese, non solo per il tema trattato, ma altresì per l’eterogeneità delle sue soluzioni stilistiche. Innanzitutto, da notare l’alternanza delle sequenze a colori con quelle in bianco e nero (in particolare durante la scena della morte del padre della protagonista); questa soluzione può essere interpretata come un chiaro omaggio da parte di Von Trier ad uno dei suoi più grandi maestri dichiarati, Andrej Tarkovskij, diventato famoso non solo per il tempo dilatato all’interno dei lunghi piani sequenza, ma anche per il minuzioso avvicendamento tra utilizzo di colore e bianco e nero (si veda ad esempio Stalker del 1979).

Un’ulteriore componente molto interessante da notare è la costruzione dell’ambiente in determinate sequenze all’interno del film. Per lunghi tratti notiamo un tratteggio dei diversi ambienti basati su un’impronta assolutamente realista: l’ambiente non ha nessun’altra implicazione al di fuori della sua stessa materialità, materialità legata al piacere carnale che durante il corso del film si configura come una componente opprimente e claustrofobica. Tuttavia, in precisi momenti, vediamo una modifica dell’ambiente nella sua essenza che passa da realista a impressionista. Da questo punto di vista, molto significative sono le scene legate all’infanzia della ninfomane Joe e dei momenti passati con il padre immersi nella natura. La natura arriva a trasformare così l’ambiente in chiave impressionista, in quanto quest’ultimo si trasforma da semplice “contenitore” a prolungamento dello stato d’animo visibile della protagonista. Viene scelto in base alla dominante psicologica dell’azione. Le scene in mezzo alla natura costituiscono, infatti, i pochi momenti dove l’aura intangibile e di matrice “mistica” arriva a soppiantare il peso della materialità carnale tanto agonizzante di cui si è parlato precedentemente.

Infine, la componente della musica costituisce una delle parti trainanti, specialmente nell’accompagnamento delle sequenze centrali focalizzate sull’insaziabile ricerca di erotismo da parte di Joe. Il quinto capitolo del film, non per nulla, prende il nome di “The Little Organ School” (La scuola di organo), in riferimento all’opera “Orgelbüchlein” di Bach. Anche in questo frangente, vi è un richiamo al cinema di Tarkovskij che utilizzò la composizione “Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ” come accompagnamento dei titoli di testa per il capolavoro di fantascienza Solaris (1972). I vari rapporti vengono accostati così alla polifonia, dove ognuno di essi diventa parte singola di una complessa e perversa composizione sessuale. Dal punto di vista visivo assume grande importanza, nel conferire enfasi a ogni componente isolata della “composizione”, l’utilizzo dello split screen. Molto utilizzato nel cinema contemporaneo, non solo tende a sottolineare un tratto puramente virtuosistico del linguaggio cinematografico, ma si configura, in diversi casi, come strumento di processione di dettagli che possono avere una funzione drammatica e contribuire a definire il senso di una scena o, addirittura, di un’intera opera filmica (un esempio monumentale nel cinema del nuovo millennio può essere certamente riscontrato in Requiem For A Dream di Darren Aronofsky, del 2000). Le diverse immagini che in Nymph()maniac si succedono, utilizzando questa soluzione stilistica, non costituiscono semplicemente una successione di momenti drammatici isolati tra loro, ma un unico grande momento fondamentale nel definire il senso stesso dell’intero film.


Niccolò Marnati
 

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