“Muoio come uno stronzo e ho fatto solo tre film”: è la frase, forse la più cruda e raggelante tra le tante emerse dalla loro frequentazione, che Claudio Caligari abbia mai rivolto a Valerio Mastandrea. Il lascito enorme per quanto diradato nel tempo (tre film in quarant’anni) del regista di Amore tossico, L’odore della notte e Non essere cattivo ha trovato nuova linfa vitale nel documentario Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari, di Simone Isola e Fausto Trombetta, presentato nell’ultima edizione della Mostra del cinema nella sezione Venezia Classici e nato da unʹidea di Marco De Annuntiis, musicista e compositore di Ostia appassionato del cinema di Caligari.
Non solo l’ultima celebrazione in ordine di tempo di un autore-monade troppo a lungo dimenticato dalla nostra industria, scomparso nel 2015 subito dopo aver completato le riprese del suo terzo e ultimo film, ma anche una radiografia ad alto tasso emotivo, come indica il titolo, del vissuto e dell’opera di una voce unica e marginale, che ha sperimentato in prima persona l’isolamento scrivendo per decenni sceneggiature su sceneggiature che non hanno mai incontrato l'adesione e il favore entusiastico dei produttori, condannandolo di fatto a portare per tutta la vita lo stigma di autore maledetto (purtroppo senza virgolette).
Veniva dal documentario, Caligari - tra il 1976 e il 1978 ha realizzato Perché droga, La follia della rivoluzione, La parte bassa - e S’è un aldilà sono fottuto, pur partendo e ruotando soprattutto sul backstage e sulla lavorazione di Non essere cattivo, provvede a restituirci i profondi istinti e la matrice radicale dell’ispirazione di questo cineasta. Erede non certo scolastico ma indubbiamente monumentale di Pier Paolo Pasolini e allievo d’elezione di Marco Ferreri, che per Amore tossico si spese con energia e generosità, difendendolo a spada tratta quando, all'inizio degli anni Ottanta, proprio alla Mostra di Venezia diede scandalo per la rappresentazione scabrosa e senza filtri di un gruppo di giovani tossicodipendenti.
Le interviste del prodotto muovono dalla cosiddetta “banda Caligari”, il team creativo capitanato da Valerio Mastandrea che intorno all’ultimo set di un Caligari già molto malato si strinse fino a diventare una famiglia unita dalla responsabilità, dalla devozione e dal destino, per poi mappare i ricordi e le sensazioni di quanti l’hanno conosciuto, dalla madre agli attori del cult Amore tossico, tra cui la superstite Michela Mioni, passando per Marco Risi, che da produttore lo affiancò nella messa in piedi de L’odore della notte, girato quindici anni dopo il suo esordio. Un insieme di testimonianze che immortala la solitudine fatale, la lucentezza di pensiero, la sicurezza di un’idea di cinema che aveva sempre e comunque le idee chiare su cosa fare e su come farlo. Con pochissime parole e tanta sostanza, e una vocazione che Caligari definiva “alla Vittorio De Seta”, come lui stesso suggerisce in una conversazione con Nanni Moretti riportata nel film.
Dopo Amore tossico avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, Claudio Caligari, eppure la sua carriera troppo scarna è sprofondata nel medesimo “buco nero” che il regista affibbiava alla Ostia ostaggio della droga con un’espressione impietosa e sublime. Ed è dunque con molta commozione e altrettanto rimpianto, gli stessi sentimenti che il film di Isola e Trombetta convoca con nitido pudore, che si assiste a Luca Marinelli chiarire come il suo cappello in Non essere cattivo sia ispirato a Mean Streets di Martin Scorsese, amato a tal punto da Caligari da indurre Mastandrea a indirizzargli la celebre lettera dall’incipit “Caro Martino", a Giorgio Tirabassi parlare delle raffinate passioni francesi dell'autore, dalle luci fredde Jean Pierre-Melville a quelle di di Jules Dassin, e a mille altri dimostrazioni della “stronza intelligenza”, per citare ancora Mastandrea, di un uomo di cinema al quale la settima arte ha dato e tolto tutto, circondandolo di un abbraccio letale e spietato, colmo d'amore e cattiveria.
Davide Stanzione