All'interno di una clinica ginecologica, tre donne condividono la stessa stanza: la prima ha appena abortito, la seconda, felicemente sposata, attende il momento e la terza, ragazza madre sola e disperata, si angustia per la nascita imminente. Gli spazi si rinchiudono fino a fare del volto un autentico paesaggio, la narrazione si congela arrivando alla sua ascesi più radicale, il bianco si fa donna, sua tonalità interiore e creatrice. Non tanto un dramma sulla nascita ma sulle responsabilità che essa comporta, sulla paura atavica di una morte sempre imminente. O forse, ancora di più, un affresco sulla femminilità senza tagli, senza intromissioni, tutto proteso a catturare la realtà della donna. E se gli uomini sono relegati a piccoli siparietti, ciò che rimane è la solidarietà femminile e un sentimento di cristiana compassione. Il vero protagonista del film è un flusso ininterrotto di stimoli e pensieri che si trasferisce di personaggio in personaggio, fino a formare un'unica coscienza. Premiato a Cannes 1958 per la miglior regia e per l'interpretazione collettiva delle quattro attrici.