Quando Richard (Johnny Depp), professore universitario di mezz’età, scopre di avere un cancro allo stadio terminale e solo pochi mesi di vita, decide di rivoluzionare la sua esistenza e godersi a pieno il tempo che gli rimane. La sua complicata situazione familiare e la poco soddisfacente vita lavorativa subiranno così un totale cambiamento.
Suddiviso in capitoli, e con Johnny Depp in ruolo da assoluto protagonista, Arrivederci professore è un prodotto che parte da premesse e atmosfere interessanti ma le vanifica in massima parte lungo il tragitto. L’impianto generale appare infatti, all’inizio, dolcemente raffinato e attento alle sfumature, oltre che pronto a celare sotto la superficie accademica (in tutti i sensi) una vitalità arruffata, in balia di se stessa e poco conciliata, perfettamente in linea col personaggio di Depp e con la piega che prende la sua esistenza. Ben presto però il meccanismo s’inceppa e le frizioni al suo interno diventano la norma: la scrittura si fa programmatica, a cominciare dalle lezioni tenute da Richard, e approda a un disagio che suona malamente artefatto e costruito a tavolino, tra sgradevolezze programmatiche e disagio che flirta troppo da vicino con un diffuso senso di apatia e nevrosi a dir poco stagnanti. La divisione in blocchi e alcuni inappropriati svolazzi formali non aiutano, ma anche Depp si dimostra incapace di riemergere dalle sabbie mobili in cui è sprofondata la sua carriera ed è difficile non intravedere, nel tratteggio del suo personaggio, i fantasmi funebri e perfino il perfetto rispecchiamento psicoanalitico di una filmografia sempre più bolsa, senza che questa componente autoriflessiva riesca però a scalfire l’operazione e a permearla in profondità. Un vero peccato, visto che il personaggio di Richard, decisamente interessante nel suo compendio di colta essenza ed evidente trasgressione, pose anticonformiste e travaglio personale, avrebbe meritato più fortuna e un contorno di maggior pregio al suo servizio.