Hotel Ambassador, Los Angeles, 5 giugno 1968. Mentre il senatore Robert Kennedy sta studiando con il suo staff la strategia per arrivare alla presidenza degli Stati Uniti dopo la vittoria alle primarie in California, le vite di alcuni ospiti dell'albergo si intrecciano e si confondono: tra loro, l'anziano portiere John Casey (Anthony Hopkins), la bella Diane (Lindsay Lohan), il suo promesso sposo William (Elijah Wood), l'alcolizzata Virginia (Demi Moore) e la centralinista Angela (Heather Graham). Sesto lungometraggio per il figlio d'arte Emilio Estevez (anche sceneggiatore), che attinge ai propri ricordi d'infanzia (l'incontro con Kennedy in compagnia del padre Martin Sheen) e confeziona un solido dramma a sfondo sociologico che tenta di riflettere sulle contraddizioni di un momento storico cruciale: le speranze democratiche e progressiste dell'America prima dello sfacelo in Vietnam e della corruzione dilagante portata dalla figura di Richard Nixon. Il regista/attore (che si ritaglia il ruolo di Tim) dimostra di saper padroneggiare il meccanismo corale e dosare mirabilmente gli elementi per creare un unicum derivante dalle svariate prospettive che dominano il film, tratteggiando un apologo non banale sul futuro (e inevitabile) collasso di una nazione. La pecca maggiore sta forse nelle eccessive ambizioni di caratterizzazione: i numerosi personaggi, potenzialmente interessanti, non riescono mai a bucare lo schermo, rimanendo in superficie. Ed è un peccato, considerando il cast stellare (Harry Belafonte è Nelson, Laurence Fishburne è Edward, Helen Hunt è Samantha). Presentato in concorso alla Mostra di Venezia e candidato a due Golden Globe: miglior film e canzone originale (Never Gonna Break My Faith di Bryan Adams, Eliot Kennedy e Andrea Remanda).