Close
Close
2022
Paesi
Belgio, Olanda, Francia
Genere
Drammatico
Durata
105 min.
Formato
Colore
Regista
Lukas Dhont
Attori
Eden Dambrine
Gustav de Waele
Émilie Dequenne
Léa Drucker
L'intensa amicizia tra due ragazzi di tredici anni, Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav De Waele), viene improvvisamente interrotta in seguito a un tragico evento. Lottando per capire cosa sia successo, Léo si avvicina a Sophie (Émilie Dequenne), la madre di Rémi.

Opera seconda di Lukas Dhont, regista belga classe 1991 che col suo esordio Girl (2018) aveva conquistato la Camera d’Or di Cannes come miglior opera prima, Close si fa largo nuovamente nel mondo dell’adolescenza, che il cineasta si prefigge anche in questo caso di cogliere nelle sue fasi trasformative e di passaggio più delicate, dolorose e scivolose. Se nella sua opera prima l’esplorazione di una sessualità tutt’altro che risolta lasciava il segno anche grazie al notevole apparato formale, tutto stretto intorno alla protagonista transgender, in Close, che quella vicinanza e prossimità le evoca fin dal titolo, la percezione di una dose di maniera troppo ingombrante e di una relativa, controproducente artificiosità si fanno già più marcate, dando vita a un accademismo che finisce col tarpare le ali e togliere respiro al racconto. Dopo un incipit a dir poco folgorante, che mostra una corsa nei prati dei due protagonisti con sensibilità estetica abbagliante e lancinante per fotografia, messa in evidenza dei dettagli e coinvolgimento epidermico, il film non riesce infatti a librarsi e a sganciarsi rispetto al tallonamento del suo giovanissimo, seppur notevole, attore protagonista, che pure dà prova di notevole carisma e sensibilità al cospetto della macchina da presa dal primo all’ultimo minuto. Ambientato nella provincia belga, Close si propone come uno studio - anzitutto visivo, data la sceneggiatura scarnificata e ridotta all’osso - della transizione tra l’infanzia e una fase successiva della vita in cui la percezione precoce della propria omosessualità, come accade a Léo, può generare numerose sospensioni, fragilità e contraccolpi. Andando eccessivamente in sottrazione sulla componente psicologica, per prediligere un controllassimo apparato estetico, in cui luci di taglio e imbellettamenti di sorta la fanno sempre da padrone, il film di Dhont finisce purtroppo col forzare troppo la mano, smarrendo empatia ed emozione lungo il percorso e costruendo un ritratto pre-adolescenziale che sa troppo di posticcio e di retorico, come se il regista tenesse più a mostrare la sua abilità nelle riprese che badare alla sostanza di una piccola ma significativa storia di crescita. Anche i personaggi di contorno, a cominciare dalla madre di Rémi, Sophie, interpretata dall’attrice belga Émilie Dequenne, premio per la migliore attrice a Cannes con il suo primo ruolo, in Rosetta (1999) dei fratelli Dardenne, appaiono silhouette schiacciate sullo sfondo, incapaci di prendere davvero vita e acquisire tridimensionalità. La scansione naturalista e semi-documentaristica del quotidiano (dai dialoghi scolastici appena accennati in cui si parla quasi solo di calciatori come Thiérry Henry e Kylian Mbappé, fino alle ridondanti sequenze di hockey sul ghiaccio, messe lì a simulare l’aggressione alla corazza emotiva del protagonista) appaiono dal canto loro riempitivi fin troppo stiracchiati e anonimi per raggiungere a fatica le sembianze del lungometraggio. Il talento di Dhont resta comunque indiscutibile, come dimostrano le molte sequenze girate con grande nitore espressivo e l’estrema sensibilità nel dirigere i due giovani, eccellenti interpreti, ma uno stile meno ricercato avrebbe sicuramente giovato alla naturalezza dell’operazione e alla credibilità generale. Presentato in Concorso al Festival di Cannes. 
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