Nella Parigi dei primi del '900, dopo essere stata costretta a firmare i propri romanzi con il nome del marito Willy (Dominic West), la scrittrice e attrice teatrale Colette (Keira Knightley), emancipata e anticonformista, ottiene il successo meritato combattendo ogni forma di pregiudizio.
Film biografico che non rinuncia a nessuna delle secche e delle regole minime del genere, Colette è un ritratto piuttosto convenzionale e stereotipato di una delle icone più trasgressive della Belle Époque: una provocatrice che, nella ricostruzione della sua vita firmata da Wash Westmoreland, uno dei due registi di Still Alice (2014), si tramuta in una figura ben più edulcorata e ammansita, sminuita con una certa frettolosità da uno sguardo laccato e patinato che non le rende per niente giustizia. Prima donna nella Storia della Repubblica francese a ricevere i funerali di stato e totem culturale in grado di parlare anche al presente in modi e forme tutt’altro che banali, Colette è interpretata senza alcun nerbo e con scarsissima presa sul personaggio da Keira Knightley, ma è l’intero taglio dell’operazione, per quanto dignitosa sul piano della confezione, a lasciare l’amaro in bocca dell’occasione persa e a destare più di una perplessità. Della Colette intellettuale sterminata e multiforme non c’è infatti praticamente traccia, la sua sessualità vorace e sfrenata e le sue relazioni con persone di ambo i sessi sono evocate con pudico pressappochismo e il film, di fatto, si concentra soprattutto sul rapporto di subalternità di Sidonie-Gabrielle (suo vero nome) con il cialtrone e meschino marito (sebbene si tratti di un legame forzato e scardinato ben presto nel segno della riscossa e della rivendicazione). Tale dimensione narrativa e tematica fa di Colette un prodotto banalmente appiattito su una parabola di empowerment femminile (ma è risaputo che lei stessa non avesse un rapporto pacifico con le femministe a lei coeve), chiaramente in linea col momento storico in cui è stato realizzato ma privo di reale spessore. Incapace, in definitiva, di stabilire una reale sintonia con i molteplici angoli e gli altrettanti anfratti di una personalità sfaccettata e proteiforme.