La vita di Nicola (Valerio Mastandrea) e Sara (Paola Cortellesi) scorre serena: un matrimonio felice con una splendida bimba. L'arrivo del secondo figlio, tuttavia, complica le cose.
Figli, sceneggiato e ideato dal compianto Mattia Torre, storico autore della celebre serie Boris scomparso nel luglio del 2019 dopo una lunga malattia, è la conferma, purtroppo postuma, del talento di una delle migliori penne italiane della sua generazione. Diretto da Giuseppe Bonito, già regista di Pulce non c’è (2014), non avendo Torre fatto in tempo a dirigerlo, il film schiera nel cast Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea, interprete feticcio di Torre e già protagonista della serie tv Rai La linea verticale, in cui l’autore aveva raccontato, con delicatezza tagliente, delle sue esperienze ospedaliere successive alla diagnosi del male che l’ha poi stroncato. Figli, dal canto suo, muove invece da un monologo teatrale, sempre interpretato da Mastandrea, dal titolo I figli ti invecchiano, toccante testamento torriano a partire dal quale ha preso spunto il copione di questo lungometraggio: una commedia agrodolce in cui si respira tutto il talento di Torre nel miscelare il comico con il tragico e viceversa, tra battute fulminanti e situazioni in bilico tra risvolti paradossali e ricadute esilaranti, con a fare da collante la capacità non trascurabile di rivestire i drammi di fondo di una monumentale dose di ironia malinconica e sfrontata. Ma Figli è anche, in perfetto stile Torre, un film pieno di marcate ma non per questo non integrate svagatezze surreali, a cominciare da quel limbo bianco dal pallore accecante in cui molti personaggi vengono immersi per amplificare l’esplosività delle molteplici trovate di scrittura. Parla soprattutto di genitorialità, Figli, facendo i conti con le inadeguatezze del riscoprirsi genitori (e dello scoprirsi fratelli), ma lo sguardo vola costantemente più in alto, fotografando ansie generazionali d’ampio respiro e cortocircuiti umoristici che, per citare una frase del personaggio di Mastandrea, non sono mai racchiusi in formule stantie ma trovano puntualmente una misura non di rado emozionante e folgorante, tra radiografie sociali e affettuose nevrosi, paturnie assortite e salti nel vuoto solo immaginati ma non per questo meno disperati. Alcuni passaggi di contorno e taluni snodi narrativi possono risultare più frettolosi e lasciati al caso, come il cameo del patron di Eataly Oscar Farinetti, ma la stragrande maggioranza delle gag colpisce assolutamente nel segno (si pensi a quella di Stefano Fresi preso continuamente a randellate dai due figli), tra contagiosa energia e sorrisi accennati per non sprofondare e “provare a restare”, con schiettezza singolare e alla larga dalla palude delle consolazioni più retoriche. Diviso in 8 capitoli (Il sonno, La pediatra guru, I suoceri, Josephina, La domenica, Le regole, La crisi, Le cose piccole), Figli ha anche l’idea decisamente riuscita di sostituire i pianti del piccolo Pietro con la sonata no.8 Patetique di Beethoven e tra i frangenti più azzeccati non si può non citare il demoniaco monologo sui baby boombers della mamma di Sara, la cena in maschera di carnevale con i costumi di Arancia Meccanica e Kill Bill e il disegno sul Titanic della figlia della coppia protagonista, caricato di una precisa valenza narrativa. Nel cast di contorno molti amici di Mattia Torre che avevano fatto parte della grande famiglia di Boris, da Valerio Aprea, tormentato da un prete che ha il volto dell’attore morettiano Fabio Traversa, a Massimo De Lorenzo passando per Paolo Calabresi.