In seguito a un’apocalisse solare, l’ex scienziato Finch (Tom Hanks) lotta per la sopravvivenza insieme al suo cane. Una sera, finito di costruire l’androide progettato per badare all’animale anche dopo la sua morte, scopre che una catastrofe si sta per abbattere presso la zona in cui vive. Insieme, i tre partiranno per un luogo più sicuro: San Francisco.

Il road movie di Miguel Sapochnik scommette su due generi, apocalittico e fantascientifico, mescolando bene le risorse di settore, ma senza osare troppo. Ciò che interessa è più il piano emotivo, nutrito dal rapporto di Finch col cane, col robot e col proprio passato. Il Golden Gate Bridge presso cui si stanno recando compare su una cartolina spedita dal padre che il protagonista non ha mai conosciuto; e proprio un legame genitore-figlio viene a instaurarsi tra lo scienziato e la sua creazione, Jeff. È nelle conversazioni con quest’ultimo che emergono alcune riflessioni, per quanto poco originali; valga per tutte quella sui pregi e difetti che il cataclisma ha sottolineato: aggressività e codardia, ma anche amore. L’affetto disinteressato verso l’animale, che «appartiene solo a se stesso», è il punto fermo della vicenda nonché l’elemento più convincente dal punto di vista sentimentale. Inno alla tenacia, dal ritmo sempre teso, il film pecca però nel confronto con l’intelligenza artificiale: non coinvolge al punto giusto, poiché troppo debitore dei capisaldi del genere (non manca uno stucchevole omaggio ad Asimov). Stando a quanto vuole trasmettere, Finch è un prodotto che tutto sommato funziona almeno in parte e, in qualità di ennesima suggestione su un mondo dalle condizioni climatiche ostili, risulta ironico nella scelta di fare di una pala eolica la dimora del protagonista e della sua bizzarra famiglia.