Harvest
Harvest
2024
Paesi
Gran Bretagna, Germania, Usa, Francia, Grecia
Generi
Drammatico, Storico
Durata
131 min.
Formato
Colore
Regista
Athina Rachel Tsangari
Attori
Caleb Landry Jones
Harry Melling
Frank Dillane
Rosy McEwen
Arinzé Kene
Nel corso di sette giorni allucinati assistiamo alla scomparsa di un villaggio senza nome in un’epoca e un luogo non definiti. Walter Thirsk (Caleb Landry Jones), uomo di città datosi all’agricoltura, e l’impacciato proprietario Charles Kent (Harry Melling), suo amico d’infanzia, si ritrovano ad affrontare un’invasione dal mondo esterno: il trauma della modernità.

Dopo gli impresentabili Attemberg (2010) e Chevalier (2015), Athina Rachel Tsangari torna nuovamente dietro la macchina da presa con un altro impietoso ritratto della società umana che, fondamentalmente, si pone in discreta continuità con i suoi lavori precedenti. Harvest, infatti, sembra riprendere alcuni dei temi fondanti del cinema di Tsangari, tra cui le perverse dinamiche di potere e cieca obbedienza che regolano i rapporti umani o la misoginia come valore fondante della società contemporanea. Questa volta, però, la regista greca parte da una macro riflessione di stampo sociologico, sicuramente più approfondita e scrupolosa delle precedenti, sul traumatico passaggio storico da comunità a società. Nel racconto, infatti, osserviamo un villaggio senza nome e collocazione geografica venire sconvolto dall’arrivo di alcuni forestieri (un cartografo, tre migranti e un uomo d’affari), archetipi dell’imminente avvento di un diverso modello di società, diretta conseguenza della rivoluzione industriale. Il nuovo mondo che incombe fuori campo è accompagnato da promesse di libertà, uguaglianza e benessere collettivo ma, nella realtà dei fatti, è destinato a sradicare senza alcuna pietà le radici del rapporto primordiale tra uomo e terra. La vita comunitaria del villaggio di contadini ci viene presentata da Tsangari attraverso un’inconsueta sensibilità di sguardo. Assistiamo ai riti, alle cerimonie ma soprattutto al lavoro, alla fatica e al sudore di una comunità che vive del frutto delle proprie fatiche, seguendo il naturale ciclo della terra. Ma il cambiamento non più aspettare e così violenza, amoralità e indifferenza conquistano il centro dell’inquadratura. È in questa seconda parte che il film di Tsangari diventa, a tratti, insostenibile e priva le immagini di un qualsiasi slancio di umanità. Spaventano alcune sequenze ricattatorie, di una violenza gratuita che non risparmia nessuno, nemmeno lo spettatore (emblematica, in questo senso, l’inquadratura di una sevizia subita in soggettiva). È un film sproporzionato, Harvest, interessante nelle sue riflessioni tematiche e formali (basti pensare anche alla fotografia di Sean Price Williams: una polaroid sbiadita che rappresenta il destino della nostra società) ma assolutamente insostenibile nell’impietoso ritratto nichilista della società umana che tradisce in diversi momenti, da parte di Tsangari, un insopportabile autocompiacimento autoriale nel voler sconvolgere a tutti i costi la coscienza dello spettatore. Ottima, invece, la performance di Caleb Landry Jones, il cui volto segnato e tormentato si fa specchio di una società che ha ormai perduto la propria innocenza. Presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2024.
Maximal Interjector
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