La vita dei coniugi Michael (Lior Ashkenazi) e Daphna (Sarah Adler) viene improvvisamente devastata dalla terribile notizia della scomparsa del figlio Jonathan (Yonatan Shiray), soldato israeliano morto sul campo di battaglia. Entrambi cadono inevitabilmente in uno stato catatonico di depressione e dolore, ma il destino ha in serbo per loro ulteriori cambiamenti inaspettati.

Dopo la vittoria del Leone d’Oro nel 2009 con Lebanon, Samuel Maoz fa ritorno alla Mostra del Cinema di Venezia con Foxtrot, dramma in tre atti dallo sviluppo circolare e contraddistinto dalla straordinaria varietà di registri e stilemi: misurate, austere e dilatate la prima e l'ultima parte, incentrate sulla greve e luttuosa descrizione della disgrazia famigliare; stravagante, onirica e a tratti grottesca la seconda, dedicata alla restituzione del caos e dell’orribile fatalità della guerra (si guardi alle apparizioni premonitrici e quasi felliniane del cammello nel deserto o all’animazione dei disegni a china realizzati da Jonathan). Soprattutto per quanto riguarda le prime sequenze, caratterizzate da uno sguardo sempre ossequioso e riverente, si riconosce la bravura del regista nell’affrontare la drammaticità delle dinamiche messe in scena, così come a seguire se ne individua l'accuratezza nel calibrare quasi sempre con misura la straordinaria varietà dei registri in gioco. Tuttavia l’impressione è quella che i tre blocchi narrativi non riescano a compenetrarsi con interazioni e parallelismi della giusta efficacia, finendo paradossalmente per risultare fra loro sconnessi in maniera fin troppo radicale. Il risultato è di conseguenza la percezione di una forzata irrequietezza e di una certa instabilità di fondo, oltre che di una morbosa e quasi fastidiosa insistenza sul dolore nell’atto finale. Generosamente premiato con il Leone d'Argento - Gran Premio della Giuria alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia.