Hereditary – Le radici del male
Hereditary
2018
Paese
Usa
Genere
Horror
Durata
127 min.
Formato
Colore
Regista
Ari Aster
Attori
Toni Collette
Alex Wolff
Milly Shapiro
Gabriel Byrne
Ann Dowd
Quando la matriarca Ellen Graham muore, la famiglia di sua figlia Annie (Toni Collette) inizia a svelare segreti criptici e terrificanti sulla loro ascendenza. Più fatti scoprono, più dovranno tentare di sfuggire a un destino a cui sembra inevitabile soccombere, e il ménage familiare ne uscirà completamente stravolto, in un turbinio di caos e orrore, segreti ancestrali ed eredità sinistre e demoniache.
Primo lungometraggio del regista Ari Aster, Hereditary – Le radici del male è uno spaventoso horror domestico, che inscena una tragedia familiare con grande rigore e spiccata sensibilità formale e autoriale, sottilmente inquietante e sempre prossima a precipitare verso abissi infernali. Con dalla sua alcuni acclamati cortometraggi dedicati al tema dei rituali casalinghi più traumatici che si possano immaginare, come il muto Munchausen e il più corposo The Strange Thing About The Johnsons, Aster si concentra su una linea di sangue in cui l’eredità malefica lascia strascichi profondi e si rifà a tanto cinema di paura degli anni ’60 e ’70. Le due linee narrative che si affiancano, quella con gli attori in carne ed ossa e quella dedicata a certosine ricostruzioni in scala di ambienti e personaggi in miniatura, tradiscono la volontà di dare vita a un soggetto d’impatto, ma anche fortemente strumentale e pensato a tavolino, che col passare dei minuti smarrisce originalità e senso della sorpresa, facendosi troppo schematico nella programmatica ricerca dell’orrore. Notevolissima, tuttavia, la grande interpretazione di Toni Collette, giustamente acclamata dalla critica americana e novello incrocio tra la Janet Leigh di Psyco (1960) e la Shelley Duvall di Shining (1980). Più generosi, invece, gli entusiasmi sfrenati che il film ha generato oltreoceano, dato che siamo di fronte a uno scaltro mix, per quanto di indubbio talento, tra il cinema d’autore modaiolo di Yorgos Lanthimos e i classici del cinema horror come Rosemary’s Baby (1968), Suspense (1961) e ovviamente L’esorcista (1973) di Friedkin, rimasticati in maniera cerchiobottista con un occhio machiavellico al regno del soprannaturale e un altro alla tragedia greca (a detta del regista, però, l’ispirazione principale è il grande regista britannico Mike Leigh e i suoi film corali come Tutto o niente del 2002). Ottimo l’apporto sonoro del sassofonista Colin Stetson, che vanta collaborazioni di pregio con artisti come The National, Arcade Fire, Bon Iver, Tom Waits e The Chemical Brothers.
Primo lungometraggio del regista Ari Aster, Hereditary – Le radici del male è uno spaventoso horror domestico, che inscena una tragedia familiare con grande rigore e spiccata sensibilità formale e autoriale, sottilmente inquietante e sempre prossima a precipitare verso abissi infernali. Con dalla sua alcuni acclamati cortometraggi dedicati al tema dei rituali casalinghi più traumatici che si possano immaginare, come il muto Munchausen e il più corposo The Strange Thing About The Johnsons, Aster si concentra su una linea di sangue in cui l’eredità malefica lascia strascichi profondi e si rifà a tanto cinema di paura degli anni ’60 e ’70. Le due linee narrative che si affiancano, quella con gli attori in carne ed ossa e quella dedicata a certosine ricostruzioni in scala di ambienti e personaggi in miniatura, tradiscono la volontà di dare vita a un soggetto d’impatto, ma anche fortemente strumentale e pensato a tavolino, che col passare dei minuti smarrisce originalità e senso della sorpresa, facendosi troppo schematico nella programmatica ricerca dell’orrore. Notevolissima, tuttavia, la grande interpretazione di Toni Collette, giustamente acclamata dalla critica americana e novello incrocio tra la Janet Leigh di Psyco (1960) e la Shelley Duvall di Shining (1980). Più generosi, invece, gli entusiasmi sfrenati che il film ha generato oltreoceano, dato che siamo di fronte a uno scaltro mix, per quanto di indubbio talento, tra il cinema d’autore modaiolo di Yorgos Lanthimos e i classici del cinema horror come Rosemary’s Baby (1968), Suspense (1961) e ovviamente L’esorcista (1973) di Friedkin, rimasticati in maniera cerchiobottista con un occhio machiavellico al regno del soprannaturale e un altro alla tragedia greca (a detta del regista, però, l’ispirazione principale è il grande regista britannico Mike Leigh e i suoi film corali come Tutto o niente del 2002). Ottimo l’apporto sonoro del sassofonista Colin Stetson, che vanta collaborazioni di pregio con artisti come The National, Arcade Fire, Bon Iver, Tom Waits e The Chemical Brothers.
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