Seconda guerra mondiale. Il sergente Stryker (John Wayne) è incaricato di addestrare un gruppo di marines. I suoi metodi sono durissimi e molto severi, tanto che l'ufficiale attira su di sé l'odio dell'intero plotone. Una volta sbarcati sull'isola di Iwo Jima, però, i soldati si accorgono che gli insegnamenti a cui sono stati costretti a obbedire sono fondamentali per sopravvivere in condizioni così ostili. A pochi anni di distanza dalla vera battaglia di Iwo Jima (19 febbraio-26 marzo 1945) tra americani e giapponesi, Allan Dwan firma una pellicola tanto coraggiosa quanto necessaria nel contesto cinematografico di allora. Un film che, prendendo le mosse da un impianto bel consolidato (la parabola tragica dell'eroe guerriero), sposta l'attenzione sul lato più umano del soldato e ne mette in luce anche le ferite più tenebrose e i vizi più riprovevoli (l'abbandono della moglie e tutto ciò che ne consegue). Dwan riesce persino a raccontare un rapporto padre-figlio significativo ed efficace (nonostante sia denso di retorica sul finale, ma fa parte del gioco) in cui l'interpretazione di Wayne raggiunge ottimi livelli per il contrasto tra la sua statuaria presenza fisica e il suo animo fondamentalmente umano. Il regista è bravo ad alternare momenti di finzione con vere e proprie immagini di repertorio catturate durante lo sbarco, riuscendo così a immergere del tutto lo spettatore in un panorama tetro e a tratti orrorifico di cui difficilmente ci si può dimenticare.