Mondocane
2021
Paese
Italia
Genere
Azione
Durata
105 min.
Formato
Colore
Regista
Alessandro Celli
Attori
Alessandro Borghi
Barbara Ronchi
Josafat Vagni
Ludovica Nasti
Federica Torchetti
In un futuro imprecisato, Taranto è logorata da un degrado ambientale che costringe la popolazione a vivere in condizioni di povertà e miseria. Pietro (Dennis Protopapa) e Christian (Giuliano Soprano), due ragazzini rimasti orfani, fremono per entrare a far parte del clan criminale delle Formiche, capeggiati da Testacalda (Alessandro Borghi).
Alessandro Celli esordisce nel lungometraggio con un’operazione ambiziosa e piuttosto coraggiosa, permeata dall’intento di proiettarsi verso le terre fin troppo inesplorate del cinema di genere italiano contemporaneo. Scegliendo di ambientare le vicende in una Taranto distopica, dove un’acciaieria tossica (la riconoscibilissima fabbrica dell’Ex Ilva, da anni al centro di polemiche per un elevatissimo tasso di inquinamento) ha contribuito al repentino crollo della città, Mondocane riesce ad amalgamare sapientemente i canoni dello sci-fi post apocalittico con una dose di spaventosa attinenza realistica legata al territorio, sia dal punto di vista dello stile che del contenuto (non c’è da stupirsi, a questo proposito, lo sforzo produttivo sia stato sostenuto da Matteo Rovere e dalla sua Groenlandia). Il racconto di formazione funziona parzialmente e i giovani attori protagonisti convincono a sufficienza, mentre la sceneggiatura scricchiola in alcuni passaggi del anche a causa di andamento piuttosto prevedibile, specie con l’approssimarsi della conclusione. Si tratta comunque di un interessante spaccato sulla degenerazione della gestione di un territorio, tanto che i colori caldi della notevole fotografia di Giuseppe Maio, prossimi alle atmosfere delle favelas brasiliane, dipingono a tutti gli effetti Taranto come una città del Terzo Mondo in cui le disparità economico-sociali sono nettissime. Il villain Testacalda, interpretato da un Alessandro Borghi visibilmente a su agio, rappresenta in maniera caricaturale (a tratti eccessivamente) la mentalità criminale e mafiosa: un’istituzione illegittima che fa le veci di uno Stato assente, promettendo nuove possibilità per un futuro migliore, sfruttando le risorse territoriali per mezzo della violenza e coincidendo con un male necessario per il sostentamento delle sue proficue attività; alle Formiche, quindi, non resta dunque che adeguarsi al mondo a cui sono stati fin da sempre abituati, sottomessi da una falsa guida: una figura paterna costrittiva e anaffettiva, che li sfrutta come strumenti utili ai suoi scopi. Presentato in concorso alla 36esima Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia.
Alessandro Celli esordisce nel lungometraggio con un’operazione ambiziosa e piuttosto coraggiosa, permeata dall’intento di proiettarsi verso le terre fin troppo inesplorate del cinema di genere italiano contemporaneo. Scegliendo di ambientare le vicende in una Taranto distopica, dove un’acciaieria tossica (la riconoscibilissima fabbrica dell’Ex Ilva, da anni al centro di polemiche per un elevatissimo tasso di inquinamento) ha contribuito al repentino crollo della città, Mondocane riesce ad amalgamare sapientemente i canoni dello sci-fi post apocalittico con una dose di spaventosa attinenza realistica legata al territorio, sia dal punto di vista dello stile che del contenuto (non c’è da stupirsi, a questo proposito, lo sforzo produttivo sia stato sostenuto da Matteo Rovere e dalla sua Groenlandia). Il racconto di formazione funziona parzialmente e i giovani attori protagonisti convincono a sufficienza, mentre la sceneggiatura scricchiola in alcuni passaggi del anche a causa di andamento piuttosto prevedibile, specie con l’approssimarsi della conclusione. Si tratta comunque di un interessante spaccato sulla degenerazione della gestione di un territorio, tanto che i colori caldi della notevole fotografia di Giuseppe Maio, prossimi alle atmosfere delle favelas brasiliane, dipingono a tutti gli effetti Taranto come una città del Terzo Mondo in cui le disparità economico-sociali sono nettissime. Il villain Testacalda, interpretato da un Alessandro Borghi visibilmente a su agio, rappresenta in maniera caricaturale (a tratti eccessivamente) la mentalità criminale e mafiosa: un’istituzione illegittima che fa le veci di uno Stato assente, promettendo nuove possibilità per un futuro migliore, sfruttando le risorse territoriali per mezzo della violenza e coincidendo con un male necessario per il sostentamento delle sue proficue attività; alle Formiche, quindi, non resta dunque che adeguarsi al mondo a cui sono stati fin da sempre abituati, sottomessi da una falsa guida: una figura paterna costrittiva e anaffettiva, che li sfrutta come strumenti utili ai suoi scopi. Presentato in concorso alla 36esima Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia.
Iscriviti
o
Accedi
per commentare