Moschettieri del re – La penultima missione
2018
Paese
Italia
Genere
Commedia
Durata
110 min.
Formato
Colore
Regista
Giovanni Veronesi
Attori
Pierfrancesco Favino
Valerio Mastandrea
Sergio Rubini
Rocco Papaleo
Alessandro Haber
Margherita Buy
D'Artagnan (Pierfrancesco Favino), Athos (Rocco Papaleo), Aramis (Sergio Rubini) e Porthos (Valerio Mastandrea) oggi sono un allevatore di bestiame sgrammaticato, un castellano lussurioso, un frate indebitato e un locandiere ubriacone, che per amor patrio saranno di nuovo moschettieri. Un po' attempati, cinici e disillusi, ma sempre abilissimi con spade e moschetti, richiamati all'avventura dopo oltre vent'anni dalla Regina Anna (Margherita Buy) per salvare la Francia dalle trame ordite a corte dal perfido Cardinale Mazzarino (Alessandro Haber).
Il regista toscano Giovanni Veronesi si cimenta con una libera interpretazione, in bilico tra comedy e fantasy, del celebre romanzo di Alexandre Dumas I tre moschettieri, cucendo la vicenda narrata nel libro intorno a dei moschettieri sui generis: quattro uomini attempati che non compiono più riprese da oltre due decenni, di nuovo in servizio e alle prese con un confronto serrato e impietoso col tempo che è passato, con addosso un disincanto ironico e guascone, ammaccato e postmoderno. Siamo in Francia ma ognuno degli attori protagonisti conserva la propria inflessione dialettale (a parte il D’Artagnan di Favino, alle prese con un buffo italiano francesizzato), le donne che ruotano loro intorno sono delle macchiette ancor più pestilenziali e sopra le righe (dalla Milady di Giulia Bevilacqua alla serva svampita di Matilde Gioli, passando per la regina beona della Buy) e l’ambientazione è a cavallo, in tutti i sensi, tra la farsa storica e la parodia. Veronesi torna al cinema in costume dopo Il mio west (1998) e purtroppo, nonostante la dimensione sia in questo caso regionale e non internazionale, incappa negli stessi limiti nella messa a punto delle gag e di un’idea generale di commedia. L’alchimia tra gli attori è infatti totalmente vanificata da una presa in giro all’acqua di rose dei costumi francesi di corte e da tempi comici affossati da una desolante collezione di siparietti, priva di baricentro e malfatta, senza un reale inizio né tantomeno uno svolgimento e una fine degna di questo nome. Abbonda un gusto quasi “fanciullesco” ma arido per il turpiloquio e le battute escrementizie e sessuali (ce n’è una di Mastandrea degna perfino del Nando Martellone della serie Boris), mentre la confezione action annega tra scene d’azione ridicolmente approssimative, titoli di testa inguardabili e un finale a sorpresa che dovrebbe suggerire nostalgia e senso di perdita, per l’epica e per gli affetti, anch’esso incredibilmente gettato alle ortiche. Veronesi, a suo tempo, aveva proposto a Francesco Nuti di fare un film analogo con protagonisti lo stesso Nuti, Troisi, Benigni e Verdone, ma il progetto non andò in porto. Girato con budget di poco più cinque milioni di euro e un notevole dispendio di mezzi per la media delle produzioni del cinema italiano, in gran parte negli scenari naturali della Basilicata. Colonna sonora di Luca Medici, meglio noto come Checco Zalone, che si è prestato generosamente a comporre l’intero tema musicale.
Il regista toscano Giovanni Veronesi si cimenta con una libera interpretazione, in bilico tra comedy e fantasy, del celebre romanzo di Alexandre Dumas I tre moschettieri, cucendo la vicenda narrata nel libro intorno a dei moschettieri sui generis: quattro uomini attempati che non compiono più riprese da oltre due decenni, di nuovo in servizio e alle prese con un confronto serrato e impietoso col tempo che è passato, con addosso un disincanto ironico e guascone, ammaccato e postmoderno. Siamo in Francia ma ognuno degli attori protagonisti conserva la propria inflessione dialettale (a parte il D’Artagnan di Favino, alle prese con un buffo italiano francesizzato), le donne che ruotano loro intorno sono delle macchiette ancor più pestilenziali e sopra le righe (dalla Milady di Giulia Bevilacqua alla serva svampita di Matilde Gioli, passando per la regina beona della Buy) e l’ambientazione è a cavallo, in tutti i sensi, tra la farsa storica e la parodia. Veronesi torna al cinema in costume dopo Il mio west (1998) e purtroppo, nonostante la dimensione sia in questo caso regionale e non internazionale, incappa negli stessi limiti nella messa a punto delle gag e di un’idea generale di commedia. L’alchimia tra gli attori è infatti totalmente vanificata da una presa in giro all’acqua di rose dei costumi francesi di corte e da tempi comici affossati da una desolante collezione di siparietti, priva di baricentro e malfatta, senza un reale inizio né tantomeno uno svolgimento e una fine degna di questo nome. Abbonda un gusto quasi “fanciullesco” ma arido per il turpiloquio e le battute escrementizie e sessuali (ce n’è una di Mastandrea degna perfino del Nando Martellone della serie Boris), mentre la confezione action annega tra scene d’azione ridicolmente approssimative, titoli di testa inguardabili e un finale a sorpresa che dovrebbe suggerire nostalgia e senso di perdita, per l’epica e per gli affetti, anch’esso incredibilmente gettato alle ortiche. Veronesi, a suo tempo, aveva proposto a Francesco Nuti di fare un film analogo con protagonisti lo stesso Nuti, Troisi, Benigni e Verdone, ma il progetto non andò in porto. Girato con budget di poco più cinque milioni di euro e un notevole dispendio di mezzi per la media delle produzioni del cinema italiano, in gran parte negli scenari naturali della Basilicata. Colonna sonora di Luca Medici, meglio noto come Checco Zalone, che si è prestato generosamente a comporre l’intero tema musicale.
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