L'ottavo giorno
Le Huitième jour
1996
Paesi
Belgio, Francia, Gran Bretagna
Generi
Drammatico, Commedia
Durata
118 min.
Formato
Colore
Regista
Jaco Van Dormael
Attori
Daniel Auteuil
Pascal Duquenne
Miou-Miou
Henri Garcin
Isabelle Sadoyan
Michele Maes
Harry (Daniel Auteuil) è un uomo che ha sacrificato la famiglia e la vita per il lavoro. George (Pascal Duquenne) è un ragazzo che ha la sindrome di down ed è scappato da un istituto. L'incontro tra i due, inizialmente difficile ma destinato a diventare una bella amicizia, sarà di giovamento soprattutto per il primo.
Quel tanto di prevedibile che ci si aspetta da un film di questo tipo, con alcune scene davvero meccaniche (quando George invita Harry ad abbandonarsi alla risata), ritrite (Harry che ha dimenticato di prendere le figlie alla stazione o che cerca di abbandonare George nel nulla, appena prima che scoppi un temporale), o schematiche (nella seconda parte Harry si comporta via via come George ed è spesso l'amico a provare a fermarlo dagli eccessi) è in buona parte riscattato da una evidente sincerità di ispirazione. Il regista, che fece volontariato in comunità con portatori della sindrome e ne aveva già girato dei documentari al riguardo, riesce a trasmettere con una certa verità (in gran parte grazie al bravissimo Duquenne) la dolcezza e simpatia tipici della stessa. E di suo riesce anche a metterci una bellezza delle immagini, un'ironia, un brio e una sensibilità tragica che smorzano il buonismo programmatico. Di più: dona al racconto iniezioni di surrealismo poetico e talora sagace (vedi come il "provenire dalla Mongolia" apre una dimensione piacevolmente umoristica e lirica insieme) che lo trasformano in una favola onirica. Del resto è solitamente più la retorica del discorso critico che si crea attorno a questo tipo di film a essere più prevedibile del film stesso. Anche il presunto ricatto emotivo del fare interpretare a un ragazzo con sindrome di down un altro se stesso è sterile, dal momento che chi ha la sindrome può desiderare pienamente di "trasformarsi" in un'altra persona per un film. I due attori condivisero meritatamente il premio per la migliore interpretazione maschile al festival di Cannes.
Quel tanto di prevedibile che ci si aspetta da un film di questo tipo, con alcune scene davvero meccaniche (quando George invita Harry ad abbandonarsi alla risata), ritrite (Harry che ha dimenticato di prendere le figlie alla stazione o che cerca di abbandonare George nel nulla, appena prima che scoppi un temporale), o schematiche (nella seconda parte Harry si comporta via via come George ed è spesso l'amico a provare a fermarlo dagli eccessi) è in buona parte riscattato da una evidente sincerità di ispirazione. Il regista, che fece volontariato in comunità con portatori della sindrome e ne aveva già girato dei documentari al riguardo, riesce a trasmettere con una certa verità (in gran parte grazie al bravissimo Duquenne) la dolcezza e simpatia tipici della stessa. E di suo riesce anche a metterci una bellezza delle immagini, un'ironia, un brio e una sensibilità tragica che smorzano il buonismo programmatico. Di più: dona al racconto iniezioni di surrealismo poetico e talora sagace (vedi come il "provenire dalla Mongolia" apre una dimensione piacevolmente umoristica e lirica insieme) che lo trasformano in una favola onirica. Del resto è solitamente più la retorica del discorso critico che si crea attorno a questo tipo di film a essere più prevedibile del film stesso. Anche il presunto ricatto emotivo del fare interpretare a un ragazzo con sindrome di down un altro se stesso è sterile, dal momento che chi ha la sindrome può desiderare pienamente di "trasformarsi" in un'altra persona per un film. I due attori condivisero meritatamente il premio per la migliore interpretazione maschile al festival di Cannes.
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