Europa dell’Est, Seconda Guerra Mondiale. Durante le persecuzioni naziste, un ragazzino ebreo viene affidato dai genitori a un’anziana tutrice. Quando la donna muore improvvisamente, ha inizio per lui un solitario vagabondare per le desolate e minacciose campagne, spostandosi di villaggio in villaggio nella disperata ricerca di un tetto sicuro. Lungo il proprio viaggio – una vera e propria lotta per la sopravvivenza – il bambino sarà esposto alle atroci brutalità dei soldati e dei contadini locali: al termine del conflitto sarà cambiato per sempre.
Tratto dall’omonimo romanzo di Jerzy Kosinski (1965), libro che all’epoca della propria uscita destò scalpore su entrambi i lati della Cortina di Ferro, The Painted Bird di Václav Marhoul ripropone le nefandezze in esso narrate per fare del più puro ed educativo bildungsroman una raffigurazione reiterata e autocompiaciuta delle peggiori atrocità operate dal genere umano, sfociando a più riprese nell’immoralità rappresentativa. “Eleggendo” a spettatore/attore (attivo e passivo) un individuo teoricamente emblema della purezza e della castità, ovvero un bambino, Marhoul obbliga a un tour de force fatto di violenze e stupri – fisici e psicologici – tanto insistiti da rendere l’intera visione praticamente insostenibile (complice anche l’eccessiva durata dell’opera: quasi tre ore). Non un film sull’Olocausto, non un film sulla guerra: l’“uccello dipinto” di Marhoul si offre quale allegoria universale e senza tempo degli orrori compiuti dalla Storia tutta, sempre e comunque incapace di resistere alla discriminazione del diverso (in tal senso l’episodio dell’uccellino dalle piume tinte di bianco “sbranato” dal branco di suoi simili risulta emblematico). Girato interamente in bianco e nero e in pellicola 35 mm, The Painted Bird vanta sicuramente un apparato visivo nel complesso elegante, specie nella prima parte del film, tutta incentrata sul superstizioso folklore locale. Purtroppo, però, neanche una fotografia chiaroscurale tanto accattivante e simbolica è in grado di salvare un’opera alla quale, nonostante l’evidente sforzo di porsi come “scomoda”, manca qualsiasi valore umanamente educativo. Presentato in concorso alla Mostra di Venezia.