L'ordinaria vita di tutti i giorni di un marito (Róbert Koltai) e di una moglie (Judit Pogány), alle prese con due bimbi a carico, che fanno ormai fatica a ritrovare l'intesa di un tempo e appaiono immersi in una crisi coniugale forse irreversibile.

Terzo film di Béla Tarr, che per la prima volta dall'inizio della sua carriera si affida ad attori professionisti. I toni sono quelli esagitati e nevrotici dello spaccato sociale, che però l'autore riesce a innestare con estrema perizia e capacità di approfondimento psicologico su una storia di difficoltà matrimoniali, che diventano così specchio dei problemi dell'intera comunità ungherese oltre che racconto di un malessere privato e personale. Il film si apre e si chiude, in maniera emblematica ma mai didascalica, con un distacco: in mezzo c'è tutta la maestria di un giovane ma già capace regista di immenso talento, che riesce ad alternare momenti emotivi e dalla forte impronta sentimentale ad altre sequenze più vicine al saggio entomologico, animate da un approccio che è insieme progressivo e deduttivo, complesso e dinamico. Tra mondo operaio e compendio della pressione sociale dei regimi comunisti, l'affresco affettivo di Tarr è accorato e insieme politico, tesissimo e costantemente sul punto di esplodere, come si conviene a una storia con tali premesse alle spalle. Qua e là s'intravede un po' di maniera, ma la potenza e la sincerità brutale delle immagini del regista, e il loro essere cariche di senso, non sono trascurabili. Il film non ha goduto di una proiezione ufficiale in Russia fino al Luglio del 2011. Il critico cinematografico americano Jonathan Rosenbaum, storica firma del Chicago Reader, ha opportunamente sottolineato i legami dell'opera di Tarr col realismo sociale del cinema di John Cassavetes. Menzione speciale al Festival di Locarno.