Il profumo del mosto selvatico
A Walk in the Clouds
1995
Paesi
Usa, Messico
Generi
Sentimentale, Drammatico
Durata
102 min.
Formato
Colore
Regista
Alfonso Arau
Attori
Keanu Reeves
Aitana Sánchez-Gijón
Anthony Quinn
Giancarlo Giannini
Angélica Aragón
Freddy Rodríguez
Debra Messing
Paul Sutton (Keanu Reeves), alla fine della Seconda guerra mondiale, torna finalmente a casa da sua moglie Betty (Debra Messing), sposata frettolosamente prima di partire, ma tutto sembra cambiato irreversibilmente. Ripresa la sua vita di sempre e il suo vecchio lavoro di commesso viaggiatore, Paul cerca di ricucire il suo rapporto coniugale. Il suo bisogno di amore e di stabilità sarà però colmato solo grazie all'incontro con una giovane ragazza madre, Victoria (Aitana Sánchez Gijón), conosciuta su un treno.
Remake di Quattro passi fra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, questa nuova versione del regista Alfonso Arau mantiene l'impianto della pellicola originale ma sceglie di deviare verso le connotazioni più romantiche e smaccatamente mélo insite nella vicenda. La sceneggiatura si dipana un po' mestamente provando, in maniera piuttosto vacua e involuta, a mantenere un equilibrio tra elementi chiaramente polarizzati, ma in maniera didascalica e spesso così letterale da risultare imbarazzante: passato/presente, modernità/tradizione, città/campagna. La bellezza visiva delle inquadrature e della dimensione rurale vorrebbe conferire al film un certo lirismo, che però è spinto all'estremo da tutti i cliché possibili e finisce così col disinnescarsi miseramente. Una fotografia suggestiva ed evocativa (firmata da un certo Emmanuel Lubezki) vorrebbe smorzare i toni drammatici annegandoli nel soffuso, ma il risultato finale è solo un pasticciaccio patinato e dozzinale, melenso, esangue e privo di ogni fascino, con punte di vuoto assoluto e di totale paralisi, causata soprattutto dall'irrisolta tensione tra l'epico e l'anacronistico che invade tutta la pellicola come un morbo.
Remake di Quattro passi fra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, questa nuova versione del regista Alfonso Arau mantiene l'impianto della pellicola originale ma sceglie di deviare verso le connotazioni più romantiche e smaccatamente mélo insite nella vicenda. La sceneggiatura si dipana un po' mestamente provando, in maniera piuttosto vacua e involuta, a mantenere un equilibrio tra elementi chiaramente polarizzati, ma in maniera didascalica e spesso così letterale da risultare imbarazzante: passato/presente, modernità/tradizione, città/campagna. La bellezza visiva delle inquadrature e della dimensione rurale vorrebbe conferire al film un certo lirismo, che però è spinto all'estremo da tutti i cliché possibili e finisce così col disinnescarsi miseramente. Una fotografia suggestiva ed evocativa (firmata da un certo Emmanuel Lubezki) vorrebbe smorzare i toni drammatici annegandoli nel soffuso, ma il risultato finale è solo un pasticciaccio patinato e dozzinale, melenso, esangue e privo di ogni fascino, con punte di vuoto assoluto e di totale paralisi, causata soprattutto dall'irrisolta tensione tra l'epico e l'anacronistico che invade tutta la pellicola come un morbo.
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