Quiet Life
Quiet Life
2024
Paesi
Francia, Germania, Svezia, Grecia, Estonia, Finlandia
Genere
Drammatico
Durata
99 min.
Formato
Colore
Regista
Alexandros Avranas
Attori
Chulpan Khamatova
Grigory Dobrygin
Naomi Lamp
Miroslava Pashutina
Eleni Roussinou
Svezia, 2018. Una misteriosa sindrome che colpisce i bambini rifugiati sta suscitando preoccupazione tra medici e politici. Sergei (Grigory Dobrygin) e Natalia (Chulpan Khamatova) sono stati costretti a fuggire dal loro paese natale dopo un attacco che ha quasi ucciso Sergei. In attesa che l’Agenzia Nazionale per l’Immigrazione decida sulla loro domanda d’asilo, si stabiliscono in Svezia con le loro due bambine e fanno del loro meglio per condurre una vita normale. Lavorano Ma quando la loro richiesta d’asilo viene respinta, Katja (Miroslava Pashutina), la figlia più piccola, ha un collasso ed entra in un misterioso stato di coma… 

Il regista greco Alexandros Avranas, esponente di punta della nuova Greek Weird Wave capace di scuotere il cinema del nuovo millennio con storie ad alto tasso di pessimismo e provocazione, si concede una sortita lontana dal suo paese natale per una co-produzione europea che affronta di petto una storia d’immigrazione tanto cruda e spiacevole quanto dolorosa e, in parte, avvolta nel mistero, tanto per la malcapitata famiglia protagonista quanto per gli spettatori. L’argomento trattato, ovvero il fenomeno relativamente poco noto della Child Resignation Syndrome (Sindrome della rassegnazione infantile), è una condizione che in Svezia, stando alle statistiche, colpisce centinaia di bambini, facendoli sprofondare nella disperazione nel momento in cui si ritrovano a essere sradicati dalle loro case e a dover affrontare il trauma di una diaspora dovuta a guerre, povertà e repressione. Collocandosi idealmente anche nella stretta attualità dei conflitti israeliano-palestinese e russo-ucraino, Avranas dirige un dramma sociale e politico in equilibrio tra il consueto, feroce sadismo dello sguardo dell’autore greco e una confezione più sobria e composta, nella quale si cerca a più riprese una misura asettica nell’osservazione gelida di una condizione dai tratti profondamente ingiusti e disumani, anche attraverso un preciso lavoro su interni spogli, minimali e asettici. A colpire nel segno provvedono già le prime sequenze, in cui in più di un’occasione i personaggi principali sono ripresi di spalle, a evidenziare la loro subalternità rispetto al rigido, paradossale e in più di un’occasione perfino beffardo apparato burocratico svedese. Col passare dei minuti però l’andamento diventa sempre più schematico e monocorde, con qualche momento in bilico tra il grottesco e il farsesco in cui è maggiormente visibile la discutibile e a tratti perniciosa affettività cara all’autore. Anche i lampi finali del racconto, nei quali si cercano vaghi simbolismi da giardino dell’Eden, stranianti momenti di tenerezza (la sequenza del bagno in piscina) e momenti canori in macchina dal sapore morettiano, destano qualche perplessità in più. Notevole, ad ogni modo, la prova di tutti gli interpreti e particolarmente potente e destabilizzante la lunga sequenza dell’interrogatorio della figlia maggiore Alina (interpretata con grande efficacia dalla giovanissima Naomi Lamp), in cui fa breccia il tema della ricostruzione a posteriori della realtà per opera, molto spesso votata alla manomissione, delle parole e delle immagini al servizio della macchina-cinema. Presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 2024.
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