Sette compagni di università, più qualche nuova aggiunta, si riuniscono a casa di due di loro per una rimpatriata. Sono passati dieci anni dal 1968, dalle contestazioni e dalla militanza collettiva, e ognuno ha preso strade differenti. Opera prima di John Sayles, importante regista del cinema indipendente a stelle e strisce, che esordisce con una pellicola malinconica seppur travestita da commedia leggera. Relazioni che si modificano col tempo, separazioni, battaglie perse e un senso generale di insoddisfazione esistenziale: Return of the Secaucus 7 regala una visione non banale, che può generare più di una riflessione su un periodo storico decisivo. Interessante, soprattutto, per il soggetto di base, ma il film sembra un po' accontentarsi di una sceneggiatura ripetitiva e incapace di colpire fino in fondo. Il disegno complessivo può funzionare, ma alcune sequenze sono troppo dilatate (si veda la lunga scena al fiume) e Sayles non riesce a trovare il finale più adeguato. In ogni caso, è perfetto per un pubblico affine all'età dei personaggi: si potranno ritrovare ideali (mancati) e un senso di nostalgia per una rivoluzione che (forse) non è mai avvenuta davvero. Il grande freddo (1983) di Lawrence Kasdan venne accusato di averlo copiato: in realtà i punti in comune sono più apparenti che effettivi.