La giovane Lee Holloway (Maggie Gyllenhaal), afflitta da una famiglia disfunzionale, si dedica al lavoro di segretaria per sconfiggere le sue passioni autolesioniste. Finirà nello studio di Edward Grey (James Spader), ambiguo e perverso avvocato con cui troverà più di un punto in comune.
Commedia nera a sfondo psicanalitico tratta da un racconto di Mary Gaitskill e adattata dal regista Steven Shainberg con Erin Cressida Wilson (anche sceneggiatrice). Ossessioni e compulsioni da manuale che preludono all'incontro di due solitudini: lo sviluppo, quasi fiabesco (emblematico l'abbigliamento infantile di Lee al primo incontro con il suo datore di lavoro), stride funzionalmente con la drammatica materia di base («Forse alle volte il dolore interiore deve venire in superficie»), inerente a depressione, alienazione e sadomasochismo. Shainberg si ispira ai classici (la forma cauta e lineare), esprimendosi al meglio in qualche riuscito picco visivo (la deriva masurbatoria e onirica della protagonista), ma non riesce a rendere pienamente coerente lo snodo cruciale del film (ovvero una tenera storia d'amore), scivolando negli eccessi (gratuite le figure dei genitori di Lee) e appesantendo con troppi finali la sequenza conclusiva. La confezione, comunque, è impeccabile (musiche di Angelo Badalamenti; scenografie, ottime, di Michael Beker e Michael Murray). E i due protagonisti regalano almeno una sequenza da antologia: la prima “punizione” di Lee, metafora di un disturbato ed eccitante approccio sessuale. Premio speciale della giuria al Sundance Film Festival.