A Brooklyn, tra una sigaretta e un sigaro, si incrociano le vicende di uno scrittore in crisi (William Hurt), di un ironico tabaccaio (Harvey Keitel) e di un adolescente di colore in fuga (Harold Perrineau); ai tre sono legate le vicende di altri personaggi, tutti caratterizzati dalla ricerca, dalla perdita o dalla scoperta di una figura familiare.

Il fumo che perennemente esce dalla bocca dei personaggi, inevitabilmente con una sigaretta o un sigaro in mano, non offusca la riuscita di questo film scritto, sulla base di un suo racconto, e co-diretto (anche se non accreditato) dallo scrittore Paul Auster con Wayne Wang. Al centro c'è un gruppo di personaggi caratterizzati da una più o meno ironica accettazione della solitudine, i cui legami giocano molto su una condizione che li accomuna (l'assenza/perdita del padre o del figlio/a, e per i quali il ritrovamento di questa figura familiare, reale o improvvisata, permette di avere una seconda occasione); ma Smoke è anche un'opera sulla narrazione, come confermato dal “film nel film” finale, dalla stessa costruzione – la divisione a capitoli – e dall'album delle foto fatte allo stesso luogo e alla stessa ora ogni giorno, che pare voler dire come anche i luoghi più comuni e quotidiani possano essere raccontati. Un po' cerebrale nell'impostazione di fondo, e con una predilezione per il distacco ironico anche nei momenti più caldi, riesce comunque a creare empatia con i personaggi ed emozionare. Originale, solo a tratti autocompiaciuto e ben diretto. Orso d'argento al Festival di Berlino.