Il dottor Jessup (William Hurt), giovane ricercatore universitario, si interessa agli effetti delle deprivazione sensoriale, ottenuta tramite l'immersione in una vasca. Anni dopo, abbina l'esperienza alla somministrazione di un potente allucinogeno: la ricerca sulle origini della coscienza umana diventerà un viaggio agghiacciante e sorprendentemente reale attraverso la storia evolutiva umana. Nel corso della sua carriera, Ken Russell si è meritato l'etichetta di autore visionario per l'attenzione verso l'onirico e la cura estetica delle sue inquadrature. Con Stati di allucinazione, il suo percorso tocca uno degli apici più famosi e radicali: il film parte come la storia di una ricerca scientifica, e in questo si ispira alla vita dello psichiatra John Lilly (vagamente ammantata di un'aura radical in stile anni Sessanta: si vedano le battute verso le ricerche sulle droghe e i “santoni” come Timothy Leary, che rese l'LSD fenomeno di massa), ma presto la posta in gioco si alza e il tutto diventa un viaggio fantascientifico nella coscienza, potentemente contaminato al body horror. Di grande impatto le sequenze in cui il protagonista apre il suo inconscio tra religiosità, autobiografia e viaggio nel tempo; anche se qualche caduta di stile, dovuta a un certo impaccio degli effetti speciali e a una sceneggiatura nebulosa (opera di Paddy Chayefsky, da un suo romanzo), non manca. Nel finale compaiono debiti evidenti, quando le immagini diventano sempre più astratte, con la celebre chiusura di 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick. Citatissimo, imperfetto e spesso parodiato: in ogni caso, a suo modo, un cult.