Caden (Philip Seymour Hoffman) è un regista teatrale che sta attraversando un momento di grande confusione mentale. Sempre più solo e insoddisfatto, decide di riunire un gruppo di attori per mettere in scena la sua stessa vita. Contorto, macchinoso, suggestivo e geniale: non poteva che essere così l'esordio dietro la macchina da presa di Charlie Kaufman, brillante sceneggiatore di film come Essere John Malkovich (1999) di Spike Jonze o Se mi lasci ti cancello (2004) di Michel Gondry. Come nel suo precedente copione per Il ladro di orchidee (2002), sempre di Jonze, anche in Synecdoche, New York è forte la sensazione di trovarsi davanti un prodotto autobiografico, che ragiona sull'atto creativo e sui confini tra realtà e finzione sempre più sfumati, mentre la rappresentazione (nella rappresentazione) va avanti. Le ossessioni di Caden potrebbero essere anche quelle del regista, che ha quasi sempre unito nelle sue sceneggiature una vena surreale e una malinconica. Synecdoche, New York è però ancora più nichilista e complesso nei ragionamenti messi in campo: man mano che passano i minuiti, Kaufman continua sempre più a stratificare il suo lavoro, mettendo troppa carne al fuoco e finendo così vittima delle sue stesse ambizioni. Il puzzle narrativo che costruisce ha il suo fascino e non lascia indifferenti ma, volando troppo alto, finisce spesso per cadere e la sua pellicola soffre di qualche ridondanza di troppo. In ogni caso, è strepitosa la prova di Philip Seymour Hoffman in un ruolo tutt'altro che semplice. Presentato al Festival di Cannes del 2008, il film è arrivato nelle sale italiane a metà del 2014, pochi mesi dopo la prematura scomparsa del suo attore protagonista.