Sola in una località di mare, Leda (Olivia Colman) osserva ossessivamente una giovane madre e la figlia in spiaggia. Turbata dalla complicità del loro rapporto (e dalla loro famiglia, chiassosa e sinistra), Leda è sopraffatta dai ricordi legati allo sgomento, allo smarrimento e all’intensità della propria maternità. Un gesto impulsivo catapulta Leda nello strano e minaccioso universo della sua stessa mente, in cui è costretta a fare i conti con le scelte anticonformiste compiute quando era una giovane madre. E con le loro conseguenze.
Per il suo esordio dietro la macchina da presa l’attrice Maggie Gyllenhaal ha scelto di adattare il romanzo La figlia oscura di Elena Ferrante, cimentandosi con un’ispida e nient’affatto agevole parabola sulla maternità e le sue ossessioni, costruita tutta intorno a un personaggio femminile in equilibrio spericolato tra fragilità e sgradevolezza, cinismo egoriferito e inattesi lampi di dolcezza. Sebbene in sceneggiatura non manchino i passaggi sfaccettati e stimolanti, valorizzati a meraviglia da un’interprete puntualmente portentosa per qualità, quantità, sfumature e aderenza mimica al ruolo come la Colman, a risvegliare più di qualche crepa nella tenuta complessiva del racconto è una dimensione da thriller portata avanti per tutta la durata del lungometraggio ma con a suo sostegno delle premesse meramente abbozzate, che rischiano di vanificare tutta la tensione introiettata dalla densissima protagonista e di spingere il risultato finale verso esiti decisamente più banali, accidentati e poco plausibili. La regia della Gyllenhaal dimostra, in compenso, una personalità tutt’altro che impalpabile, lavorando magnificamente sul corpo, i sorrisi sghembi e i tanti traumi del passato di Leda, inserendola oltretutto in una cornice di inospitale e isolata malinconia cui sembra mancare sempre il terreno sotto i piedi: sebbene le inquadrature oblique e taglianti non manchino, nella ruvida partitura visiva, la deriva forzatamente anti-empatica della costruzione psicologica rischia di franare proprio nel momento in cui la tensione raggiunge la temperatura di ebollizione e fa il pieno di sconcerto e sgomento, così come non aiutano i sempre più frequenti salti temporali, non tutti essenziali, tra il presente e il passato di Leda (dove a interpretarla da giovane è l’attrice Jessie Buckley). Ben cesellati molti dei dialoghi, che fanno il paio con la tenuta umanistica della vita di Leda, insegnante di lettura italiana comparata in vacanza in un’isola in Grecia, e buona prova anche di tutto il cast di contorno, puntualmente ben diretto a cominciare da una sorprendente e probabilmente mai così intensa Dakota Johnson. Cameo, decisamente trascurabile, di Alba Rohrwacher, che suona come un forzato sigillo italiano sull’operazione, pur tradendo la stima di cui l’attrice gode ormai anche all’estero. Presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2021.