Cinquanta sfumature di grigio
Fifty Shades of Grey
2015
Paese
Usa
Generi
Erotico, Drammatico
Durata
125 min.
Formato
Colore
Regista
Sam, Taylor-Johnson
Attori
Dakota Johnson
Jamie Dornan
Jennifer Ehle
Marcia Gay Harden
Eloise Mumford
Luke Grimes
Max Martini
La giovane Anastasia (Dakota Johnson), studentessa di letteratura inglese, fa la conoscenza di Christian Grey (Jamie Dornan), rampante uomo d'affari di Seattle che si dimostra schivo e al contempo generoso nei suoi riguardi. Dietro all'insospettabile facciata si nasconde un ragazzo dedito a pratiche sadomaso estreme, cui anche la ragazza – se vorrà continuare a frequentarlo – dovrà sottoporsi.
Diretto dalla Sam Taylor-Johnson del già mediocre Nowhere Boy (2009), quello che potenzialmente doveva essere un film-scandalo è, in realtà, quanto di peggio ci si potesse aspettare: patinato, lezioso, petulante e noiosamente ingrigito tra i grattacieli di una metallica Seattle. Sarebbe un modestissimo entertainment porno-soft, se non ci fosse anche un retrogusto etico respingente, disgustoso e repellente. La visione dell'umanità offerta dalla pellicola è pietosa, superficiale e tragicamente sessista. Quasi medievale, verrebbe da dire: in nome di un pericoloso classismo, la protagonista (Dakota Johnson, figlia di Melanie Griffith e Don Johnson) si lascia titillare dal businessman di bell'aspetto (Jamie Dornan), il quale le regala sguardi languidi e una bella macchina, oltre però a prenderla a scudisciate previo tacito consenso. «Cosa ci guadagno?», chiede lei in uno dei pochi momenti di lucidità che la riguardano; «Me», risponde quasi sbalordito lui. E lei diventa così la sottomessa che compiace e serve un uomo facoltoso solo per il piacere di averlo a sé. Nauseante. Non c'è bisogno di scomodare gli spettri illustri di Mary Wollestonecraft o Dolores Ibarruri per capire come tutto questo, oggi, sia inaccettabile. È un discorso che va ben oltre il cinema d'evasione, oltre il compiacimento, oltre ogni confezione lussuosa e patinata. Meriteremmo altro. O forse no. Tratto dall'omonimo romanzo scritto da E. L. James, anche co-produttrice del film. Seguito da Cinquanta sfumature di nero (2017) di James Foley.
Diretto dalla Sam Taylor-Johnson del già mediocre Nowhere Boy (2009), quello che potenzialmente doveva essere un film-scandalo è, in realtà, quanto di peggio ci si potesse aspettare: patinato, lezioso, petulante e noiosamente ingrigito tra i grattacieli di una metallica Seattle. Sarebbe un modestissimo entertainment porno-soft, se non ci fosse anche un retrogusto etico respingente, disgustoso e repellente. La visione dell'umanità offerta dalla pellicola è pietosa, superficiale e tragicamente sessista. Quasi medievale, verrebbe da dire: in nome di un pericoloso classismo, la protagonista (Dakota Johnson, figlia di Melanie Griffith e Don Johnson) si lascia titillare dal businessman di bell'aspetto (Jamie Dornan), il quale le regala sguardi languidi e una bella macchina, oltre però a prenderla a scudisciate previo tacito consenso. «Cosa ci guadagno?», chiede lei in uno dei pochi momenti di lucidità che la riguardano; «Me», risponde quasi sbalordito lui. E lei diventa così la sottomessa che compiace e serve un uomo facoltoso solo per il piacere di averlo a sé. Nauseante. Non c'è bisogno di scomodare gli spettri illustri di Mary Wollestonecraft o Dolores Ibarruri per capire come tutto questo, oggi, sia inaccettabile. È un discorso che va ben oltre il cinema d'evasione, oltre il compiacimento, oltre ogni confezione lussuosa e patinata. Meriteremmo altro. O forse no. Tratto dall'omonimo romanzo scritto da E. L. James, anche co-produttrice del film. Seguito da Cinquanta sfumature di nero (2017) di James Foley.
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