Empire of Light
Empire of Light
2022
Paesi
Gran Bretagna, Usa
Generi
Drammatico, Sentimentale
Durata
115 min.
Formato
Colore
Regista
Sam Mendes
Attori
Olivia Colman
Colin Firth
Toby Jones
Micheal Ward
Tom Brooke
1980. In una cittadina della costa settentrionale del Kent, in una Gran Bretagna alle prese con razzismo e recessione, sembra che il cinema Empire possa essere l'unica ancora di salvezza. Il gestore, Mr. Ellis (Colin Firth), punta moltissimo sulla première di un film molto atteso come Momenti di gloria, che potrebbe dare nuovo lustro alla struttura dopo la chiusura di due delle quattro sale complessive. In questo cinema lavora Hilary (Olivia Colman), una donna di mezz’età che soffre di depressione e ha una relazione proprio con il suo datore di lavoro. L’incontro con un nuovo dipendente di colore, Stephen (Michael Ward), potrebbe dare una svolta alla sua esistenza.
Scritto e diretto da Sam Mendes, questo film è un maldestro tentativo per il regista britannico di portare avanti una riflessione dal sapore nostalgico sulla sala cinematografica, raccontando un momento decisivo della storia del suo paese e di come il “senso della crisi” si sia sentito (e si senta, visti i collegamenti col presente) a tanti livelli. Mendes vuole emozionare, ma bastano poche sequenze e una onnipresente colonna sonora per notare quanto l’autore sia scivolato (e volutamente, in apparenza) in tutte le possibili trappole retoriche che una storia del genere porta con sé. L’andamento narrativo furbo e politically correct all’inverosimile, si accompagna a scelte stilistiche perennemente ricattatorie (si veda la sequenza del pestaggio) e dalla facile presa emotiva sullo spettatore: alcuni passaggi – come la visione di Oltre il giardino per la protagonista – possono toccare nel profondo, ma sono sempre momenti calcolati e studiati, privi della necessaria spontaneità per un prodotto di questo tipo. Si salva, forse, la fotografia di Roger Deakins in questo minestrone di buoni sentimenti, che mescola senza dosarli adeguatamente troppo zucchero e melassa, dall’inizio alla fine. Va bene sfruttare la magia della sala per cercare di creare emozioni, ma c’è un limite a tutto e… Mendes l’ha superato. Debole anche la prova di Olivia Colman, che si impegna indubbiamente ma non riesce a trasmettere sinceramente le fragilità emotive del suo personaggio.
Scritto e diretto da Sam Mendes, questo film è un maldestro tentativo per il regista britannico di portare avanti una riflessione dal sapore nostalgico sulla sala cinematografica, raccontando un momento decisivo della storia del suo paese e di come il “senso della crisi” si sia sentito (e si senta, visti i collegamenti col presente) a tanti livelli. Mendes vuole emozionare, ma bastano poche sequenze e una onnipresente colonna sonora per notare quanto l’autore sia scivolato (e volutamente, in apparenza) in tutte le possibili trappole retoriche che una storia del genere porta con sé. L’andamento narrativo furbo e politically correct all’inverosimile, si accompagna a scelte stilistiche perennemente ricattatorie (si veda la sequenza del pestaggio) e dalla facile presa emotiva sullo spettatore: alcuni passaggi – come la visione di Oltre il giardino per la protagonista – possono toccare nel profondo, ma sono sempre momenti calcolati e studiati, privi della necessaria spontaneità per un prodotto di questo tipo. Si salva, forse, la fotografia di Roger Deakins in questo minestrone di buoni sentimenti, che mescola senza dosarli adeguatamente troppo zucchero e melassa, dall’inizio alla fine. Va bene sfruttare la magia della sala per cercare di creare emozioni, ma c’è un limite a tutto e… Mendes l’ha superato. Debole anche la prova di Olivia Colman, che si impegna indubbiamente ma non riesce a trasmettere sinceramente le fragilità emotive del suo personaggio.
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