Tornare
2019
Paese
Italia
Genere
Drammatico
Durata
107 min.
Formato
Colore
Regista
Cristina Comencini
Attori
Giovanna Mezzogiorno
Vincenzo Amato
Beatrice Grannò
Clelia Rossi Marcelli
Trevor White
Marco Valerio Montesano
Barbara Ronchi
Dopo una lunghissima assenza, Alice (Giovanna Mezzogiorno) torna dagli Stati Uniti, dove è diventata una giornalista affermata, alla casa sul mare dove ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza per assistere al funerale del padre, un ufficiale americano in forza alla base Nato di Napoli. Dopo la cerimonia la donna decide di restare in quella dimora così familiare e allo stesso tempo sepolta nella sua memoria: la stessa che il padre aveva perso a poco a poco, conservando solo i ricordi più lontani.
Ambientato nella Napoli degli anni ’90, Tornare di Cristina Comencini muove da una citazione del fisico Carlo Rovelli («Non c’è passato, non c’è presente, non c’è futuro. Il tempo è solo un modo per misurare il cambiamento») per restituire immediatamente la cifra delle proprie ambizioni, volte a catturare un sentimento del tempo all’insegna di una nostalgia ingombrante e plumbea, dai contorni tetri e inospitali (prossimi a una vaga percezione del “qui e ora”). I propositi altisonanti di scrittura e messa in scena, che dalla concretezza fisica degli oggetti vorrebbero transitare verso un distacco metafisico di matrice addirittura antonioniana, si scontrano però fin dal principio con una disarmante assenza d’ispirazione, inequivocabile per tutte le interminabili quasi due ore di durata. La compresenza di passato e presente si riduce infatti a un interminabile susseguirsi di soluzioni soprannaturali al limite del pasticcio kitsch (la protagonista interagisce con una ragazza che si rivela essere lei stessa da giovane), a fronte di un materiale narrativo talmente scarnificato - o meglio dire drammaticamente assente - da legittimare più di un’alzata di sopracciglio. Come se non bastasse, a gravare su una storia incomprensibilmente ridotta all’osso dove la memoria è un feticcio più pretestuoso che sbiadito, contribuiscono in maniera disastrosa una miriade di dissolvenze incrociate e inquadrature manieriste e incartapecorite, nel tentativo (comunque fallito su tutta la linea) di risollevare una storia di insostenibile e pretenziosa vacuità, a suon di scale a chiocciola e presunti simboli scanditi a lettere cubitali. Censurabili anche i non troppo latenti risvolti misogini nel parlare di “ninfomania” e nel rivolgere lo sguardo ai languori disinibiti delle “ragazze di una volta”. Presentato come film di chiusura alla Festa del cinema di Roma 2019 e distribuito direttamente on demand a maggio 2020 a causa dell’emergenza Coronavirus.
Ambientato nella Napoli degli anni ’90, Tornare di Cristina Comencini muove da una citazione del fisico Carlo Rovelli («Non c’è passato, non c’è presente, non c’è futuro. Il tempo è solo un modo per misurare il cambiamento») per restituire immediatamente la cifra delle proprie ambizioni, volte a catturare un sentimento del tempo all’insegna di una nostalgia ingombrante e plumbea, dai contorni tetri e inospitali (prossimi a una vaga percezione del “qui e ora”). I propositi altisonanti di scrittura e messa in scena, che dalla concretezza fisica degli oggetti vorrebbero transitare verso un distacco metafisico di matrice addirittura antonioniana, si scontrano però fin dal principio con una disarmante assenza d’ispirazione, inequivocabile per tutte le interminabili quasi due ore di durata. La compresenza di passato e presente si riduce infatti a un interminabile susseguirsi di soluzioni soprannaturali al limite del pasticcio kitsch (la protagonista interagisce con una ragazza che si rivela essere lei stessa da giovane), a fronte di un materiale narrativo talmente scarnificato - o meglio dire drammaticamente assente - da legittimare più di un’alzata di sopracciglio. Come se non bastasse, a gravare su una storia incomprensibilmente ridotta all’osso dove la memoria è un feticcio più pretestuoso che sbiadito, contribuiscono in maniera disastrosa una miriade di dissolvenze incrociate e inquadrature manieriste e incartapecorite, nel tentativo (comunque fallito su tutta la linea) di risollevare una storia di insostenibile e pretenziosa vacuità, a suon di scale a chiocciola e presunti simboli scanditi a lettere cubitali. Censurabili anche i non troppo latenti risvolti misogini nel parlare di “ninfomania” e nel rivolgere lo sguardo ai languori disinibiti delle “ragazze di una volta”. Presentato come film di chiusura alla Festa del cinema di Roma 2019 e distribuito direttamente on demand a maggio 2020 a causa dell’emergenza Coronavirus.
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