Tras el cristal
Tras el cristal
1986
Paese
Spagna
Genere
Horror
Durata
110 min.
Formato
Colore
Regista
Agustí Villaronga
Attori
Günter Meisner
Marisa Paredes
David Sust
Gisèle Echevarría
Imma Colomer
Klaus (Günter Meisner), ex capitano tedesco della Seconda Guerra Mondiale sposato con Griselda (Marisa Paredes), è costretto a vivere in un polmone d'acciaio. Un giorno compare nella vita dei coniugi Angelo (David Sust), un ragazzino deciso a prendersi cura del povero infermo. Leggendo il diario di Klaus, Angelo verrà a conoscenza del terribile segreto che quell'uomo porta con sè.
Tra i più interessanti horror europei degli anni Ottanta, l'esordio alla regia di Agustí Villaronga mischia torbide e criminali ossessioni private con il trauma della ancor troppo recente tragica Storia del continente. La tensione è sempre alle stelle, sia per una sceneggiatura (dello stesso regista) che sa come gestire la complessa e insidiosa psicologia dei personaggi, sia grazie alla buona prova del cast: gli esordienti Sust e Echevarría (che interpreta la dolce Rena) svolgono bene il loro ruolo tra lo spaesato e l’imminente detonazione, ma Marisa Paredes ruba la scena, pur con un minutaggio ridotto, grazie all’algida severità della sua Griselda, che ben presto muta in sincero terrore. La pellicola racconta dell’incapacità di fermare il ciclo di violenza, una volta che questo è messo in moto, e lo fa attraverso scene di grande (im)potenza: la claustrofobica condizione di Klaus lo rende incapacitato a reagire mentre i suoi imperdonabili crimini gli vengono riproposti davanti agli occhi. Quando la memoria si fa arma per ripetere coscientemente il passato più terribile, il quale tiene prigionieri sia vittime che carnefici. E sono, questi, ruoli facilmente intercambiabili se a mediarli sono l’odio e la paura. Villaronga condensa tutto questo in un film di genere che evita di cadere in stereotipi e scorciatoie, accompagnato anche da una fotografia efficacissima e da brevi intermezzi più rilassati (il personaggio pressoché comico di Imma Colomer) che rendono ancora più feroce il ritorno al tesissimo tono predominante del film.
Tra i più interessanti horror europei degli anni Ottanta, l'esordio alla regia di Agustí Villaronga mischia torbide e criminali ossessioni private con il trauma della ancor troppo recente tragica Storia del continente. La tensione è sempre alle stelle, sia per una sceneggiatura (dello stesso regista) che sa come gestire la complessa e insidiosa psicologia dei personaggi, sia grazie alla buona prova del cast: gli esordienti Sust e Echevarría (che interpreta la dolce Rena) svolgono bene il loro ruolo tra lo spaesato e l’imminente detonazione, ma Marisa Paredes ruba la scena, pur con un minutaggio ridotto, grazie all’algida severità della sua Griselda, che ben presto muta in sincero terrore. La pellicola racconta dell’incapacità di fermare il ciclo di violenza, una volta che questo è messo in moto, e lo fa attraverso scene di grande (im)potenza: la claustrofobica condizione di Klaus lo rende incapacitato a reagire mentre i suoi imperdonabili crimini gli vengono riproposti davanti agli occhi. Quando la memoria si fa arma per ripetere coscientemente il passato più terribile, il quale tiene prigionieri sia vittime che carnefici. E sono, questi, ruoli facilmente intercambiabili se a mediarli sono l’odio e la paura. Villaronga condensa tutto questo in un film di genere che evita di cadere in stereotipi e scorciatoie, accompagnato anche da una fotografia efficacissima e da brevi intermezzi più rilassati (il personaggio pressoché comico di Imma Colomer) che rendono ancora più feroce il ritorno al tesissimo tono predominante del film.
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