Su una strada notturna, un uomo viene investito e lasciato lì sul posto, senza ricevere alcun tipo di soccorso da nessuno. L'evento scatenerà una serie intricata di segreti da coprire e di colpevolezze da tener nascoste. Un uomo politico importante, un complesso scenario di colpe e castighi in agguato, una famiglia in disarmo alle prese con un evento cruciale che potrebbe disgregarne definitivamente l'equilibrio già di suo precario. Il turco Nuri Bilge Ceylan dà vita a un universo morale fosco e oscuro, nel quale il buio dell'anima dei personaggi si riflette su una messa in scena di feroce bellezza, incredibilmente oscura, nella quale ogni sequenza e quasi ogni singolo fotogramma sembrano avere alle spalle un certosino lavoro sulla componente pittorica delle immagine. L'opera di fatto più estetizzante di Ceylan, ma la sua elaborazione visiva, per quanto costantemente tesa verso la ricerca della perfezione, non si fa mai autocompiacimento: Le tre scimmie è infatti un disperato e crudele affresco sul decadimento e sulla corruzione di un'intera società molto più che di un isolato nucleo familiare, una equazione matematica nella quale ogni sollecitazione iconica assume un preciso valore simbolico e la sensazione d'insieme è quella di essere davanti a una sorta di un quadro esistenziale riletto alla luce di una crime story sui generis. La raffinatezza dell'insieme è alle stelle, il fascino maledetto dello sguardo di Ceylan, corporale e al contempo metafisico, non è da meno. Sacrosanto premio per la miglior regia al Festival di Cannes.