Freddo e implacabile, Reinhard Heydrich (Jason Clarke) fu uno dei più potenti gerarchi del regime nazista e principale artefice della “soluzione finale”: al suo fianco la moglie Lina (Rosamund Pike), che lo introdusse all’ideologia nazista. A tentare di fermare "l'inarrestabile" un piccolo gruppo di combattenti della Resistenza Ceca in esilio, addestrati dagli Inglesi e guidati dal governo Cecoslovacco.

L’uomo dal cuore di ferro, tra le ultime produzioni congiunte dei fratelli Harvey e Bob Weinstein, è un’operazione blanda e deficitaria sotto molti punti di vista, che commette grossolani e vistosi errori tanto sul piano dell’etica quanto su quello dell’estetica. Il ritratto gelido e luciferino di un noto ufficiale nazista è infatti trasposto attraverso un linguaggio estremamente patinato e semplificato, privo di senso critico a tal punto da oscillare tra l’asettica neutralità e il viscido compiacimento. La confezione sarebbe anche sommariamente diligente, ma si tratta di un prodotto troppo scoordinato e ridondante sul piano drammaturgico per elevarsi al di sopra di una grigia mediocrità, dato anche il trattamento alquanto approssimativo di personaggi ed eventi storici. Jason Clarke è alle prese con un’interpretazione monocorde ed enfatica ben lontana dalla sufficienza, mentre un po’ più in parte è Rosamund Pike, sebbene il suo personaggio, per quanto centrale nello sviluppo psicologico del protagonista, sia frettolosamente liquidato. Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto nel 2010 da Laurent Binet. Il titolo proviene dal soprannome che Adolf Hitler in persona aveva dato allo stesso Heydrich.