Il viaggio di Yao
Yao
2018
Paese
Francia
Genere
Commedia
Durata
103 min.
Formato
Colore
Regista
Philippe Godeau
Attori
Omar Sy
Lionel Louis Basse
Gwendolyn Gourvenec
Fatoumata Diawara
Germaine Acogny
Abdoulaye Diop
Yao (Lionel Basse) vive nel nord del Senegal, ha tredici anni e vuole incontrare a tutti i costi il suo idolo: Seydou Tall (Omar Sy), un celebre attore francese invitato a Dakar per presentare il suo nuovo libro. Per realizzare il suo sogno, Yao organizza una fuga a 387 km dal proprio villaggio. Toccato dal gesto del ragazzo, Seydou decide di riaccompagnarlo a casa attraversando il paese: un rocambolesco viaggio che si trasformerà in un ritorno alle proprie radici.
Alle prese con una storia palesemente autobiografica, l’attore Omar Sy, popolarissimo in Francia dopo il successo stellare di Quasi amici, si confronta col suo passato e col proprio paese d’origine, il Senegal. Nei panni, ritagliati su misura per lui, di una famosa star del cinema, Sy si presta a un viaggio di riscoperta delle sue radici, accanto a un ragazzino africano curiosamente molto più colto di lui, che ha letto Jules Verne, vuole fare lo scrittore ed è consapevole che la saga di Harry Potter in Africa non si sarebbe potuta e non si potrebbe scrivere, perché narrare di stregoni, nel suo continente, porterebbe a fare i conti con implicazioni culturali molto diverse. Il viaggio di Yao, a dispetto del titolo, è soprattutto il percorso di catarsi e pacificazione di Seydou, noto in patria alla stregua di Zinedine Zidane e Charles De Gaulle, ma il tono del film è troppo didascalico e ripulito da ogni (reale) contrasto per colpire nel segno. Abbondano infatti gli scenari oleografici e le ovvie concessioni all’ambientazione africana, con tanto di vecchissimi modelli di Peugeot sui quali scorrazzare, e il buddy movie tra adulto e bambino, nonostante qualche momento solare e simpatico e cenni più riflessivi sul concetto intimo e profondo di “tempo”, fatica ad acquisire spessore e scivola via senza lasciare tracce significative. Con tanto di telefonato e stravisto desiderio, da parte del piccolo Yao, di approdare al mare e di vederlo per la prima volta. A dominare è soprattutto il contrasto tra l’occidentalizzato e “bianco” Sy, come ironicamente lo definisce Yao, e la ritualità di una terra sconosciuta a Seydou, che non parla nemmeno più la lingua del luogo, ma le tonalità buoniste ed edificanti vanificano ogni slancio e gli intermezzi del percorso lasciano purtroppo il tempo che trovano. Dedicato a Demba Sy, padre di Omar.
Alle prese con una storia palesemente autobiografica, l’attore Omar Sy, popolarissimo in Francia dopo il successo stellare di Quasi amici, si confronta col suo passato e col proprio paese d’origine, il Senegal. Nei panni, ritagliati su misura per lui, di una famosa star del cinema, Sy si presta a un viaggio di riscoperta delle sue radici, accanto a un ragazzino africano curiosamente molto più colto di lui, che ha letto Jules Verne, vuole fare lo scrittore ed è consapevole che la saga di Harry Potter in Africa non si sarebbe potuta e non si potrebbe scrivere, perché narrare di stregoni, nel suo continente, porterebbe a fare i conti con implicazioni culturali molto diverse. Il viaggio di Yao, a dispetto del titolo, è soprattutto il percorso di catarsi e pacificazione di Seydou, noto in patria alla stregua di Zinedine Zidane e Charles De Gaulle, ma il tono del film è troppo didascalico e ripulito da ogni (reale) contrasto per colpire nel segno. Abbondano infatti gli scenari oleografici e le ovvie concessioni all’ambientazione africana, con tanto di vecchissimi modelli di Peugeot sui quali scorrazzare, e il buddy movie tra adulto e bambino, nonostante qualche momento solare e simpatico e cenni più riflessivi sul concetto intimo e profondo di “tempo”, fatica ad acquisire spessore e scivola via senza lasciare tracce significative. Con tanto di telefonato e stravisto desiderio, da parte del piccolo Yao, di approdare al mare e di vederlo per la prima volta. A dominare è soprattutto il contrasto tra l’occidentalizzato e “bianco” Sy, come ironicamente lo definisce Yao, e la ritualità di una terra sconosciuta a Seydou, che non parla nemmeno più la lingua del luogo, ma le tonalità buoniste ed edificanti vanificano ogni slancio e gli intermezzi del percorso lasciano purtroppo il tempo che trovano. Dedicato a Demba Sy, padre di Omar.
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