Vivere
Ikiru
1952
Paese
Giappone
Genere
Drammatico
Durata
143 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Akira Kurosawa
Attori
Takashi Shimura
Shin'ichi Himori
Haruo Tanaka
Minoru Chiaki
Miki Odagiri
Bokuzen Hidari
Condannato da un tumore allo stomaco, l'impiegato comunale Watanabe (Takashi Shimura) vede sgretolarsi tutte le sue certezze. All'iniziale smarrimento segue la decisione di compiere un'azione significativa e riabilitante: si batterà per la bonifica di un terreno paludoso, su cui possa essere costruito un parco giochi. «Che cosa faresti se avessi solo sei mesi da vivere?» Poco più che quarantenne, Akira Kurosawa (anche sceneggiatore con Shinobu Hashimoto e Hideo Oguni) traccia un bilancio esistenziale cupo e straziante, ponendo al centro della narrazione un protagonista costretto a fare i conti con l'inettitudine e il distacco che hanno contraddistinto la sua intera esistenza. I ricordi, i rimpianti («Non so cosa ho fatto della mia vita in tutti questi anni»), il senso di totale inutilità che attanaglia l'uomo di fronte alla prospettiva del nulla: tra realismo estremo (la degenerazione mentale e fisica di Watanabe) e folgoranti lampi onirici (la rievocazione di un passato doloroso, ma comunque accarezzato perché ormai irraggiungibile), l'iter di consapevolezza e di formazione morale procede inarrestabile, ancor più significativo perché accostato alla potenza devastatrice della macchina burocratica, tra frustrazioni (indimenticabile la sequenza iniziale, con i clienti rimbalzati da un ufficio all'altro in un imbarazzante scarico di responsabilità), ipocrisie e apatia. Raramente l'alienazione del quotidiano e la fondamentale inconsistenza emozionale dell'essere umano hanno trovato rappresentazione tanto compiuta: attraverso uno stile essenziale, ma non scevro da affascinanti e parossistici stilemi visivi, e una struttura funzionalmente complessa e discontinua (flashback, interruzioni cronologiche improvvise e inaspettate), Kurosawa stigmatizza il (non) senso di vivere, il terrore paralizzante di fronte alla morte e la necessità di essere ricordati per le proprie azioni. Desiderio illusorio, che sarà scempiato dall'indifferenza imperante in un finale amarissimo e quasi insostenibile. Rigoroso, definitivo, imprescindibile. Molti i momenti da antologia: impossibile non citare la sequenza della visita medica, in cui un impietrito Watanabe, attraverso il colloquio prima con un paziente e poi con il dottore, prende coscienza del suo fatale destino. Semplicemente perfetto Takashi Shimura. Premio speciale al Festival di Berlino.
Maximal Interjector
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