Weekend
Weekend
2011
Amazon Prime Video
Paese
Gran Bretagna
Generi
Drammatico, Sentimentale
Durata
97 min.
Formato
Colore
Regista
Andrew Haigh
Attori
Tom Cullen
Chris New
Jonathan Race
Laura Freeman
Loreto Murray
Russell (Tom Cullen) conosce Glen (Chris New) durante una serata in un locale e la mattina dopo si sveglia accanto a lui. Sembrerebbe una storia d’amore passeggera come tante altre, eppure nel poco tempo che il destino darà loro a disposizione (l’arco di appena un weekend), i due avranno modo di condividere un sentimento bruciante e una profonda intimità, aprendosi l’uno all’altro senza difese di alcun tipo. Condividendo tutto, prima che tutto svanisca.
L’opera seconda del regista britannico Andrew Haigh, il cui talento si è confermato con il successivo 45 anni (2015), è un melodramma gay ambientato a Londra, che ricorre in larga misura agli spazi chiusi e agli interni per concentrarsi sulla passione che lega i due personaggi e farla deflagrare attraverso una messa in scena potente e originale, capace di lavorare in maniera tanto rigorosa quanto libera sui gesti, sulle parole, sul realismo di un contatto fisico ancor prima che sentimentale, sottolineato da una macchina da presa spesso in stato di grazia. In Weekend, Haigh non risparmia nulla e filma due corpi innamorati, colti nell’intensità irripetibile di un contatto, oltre che restituiti magnificamente sullo schermo dall’intensa e dedita performance degli attori. Lo fa in maniera schietta e onesta, immortalandoli con poetica purezza ma non rinunciando all’amarezza, alla prosaicità del quotidiano e alla disillusione affettiva, sentimenti che pongono i protagonisti – e tutta la loro generazione – in un perenne stato di subalternità sociale, di marginalità priva di scampo. La sensibilità quasi tattile dello sguardo di Haigh in qualche caso cede il passo al compiacimento e a qualche frangente più “studiato” di altri, attimi in cui l’immediatezza e l’urgenza della confezione lasciano spazio a situazioni più prevedibili e costruite. Innegabile, tuttavia, la grazia, non di rado affilata e spietata, con cui il regista porta a casa la sua storia, non rinunciando a una chiusura tutt’altro che idilliaca, amplificata dalla presenza di una Londra grigia e ostile. Un film-diario, che fa del turpiloquio una questione di stile e di visione sul mondo e inscena una nudità a conti fatti sia interiore che esteriore, metafora di una vita da condurre in maniera di sicuro sofferta, ma non per questo non orgogliosa e resistente. Presentato al South by Southwest, e graziato da una notevole (e un po' eccessiva) fama underground. In Italia l’ha distribuito Teodora Film, con cinque anni di ritardo e sull’onda del successo di 45 anni.
L’opera seconda del regista britannico Andrew Haigh, il cui talento si è confermato con il successivo 45 anni (2015), è un melodramma gay ambientato a Londra, che ricorre in larga misura agli spazi chiusi e agli interni per concentrarsi sulla passione che lega i due personaggi e farla deflagrare attraverso una messa in scena potente e originale, capace di lavorare in maniera tanto rigorosa quanto libera sui gesti, sulle parole, sul realismo di un contatto fisico ancor prima che sentimentale, sottolineato da una macchina da presa spesso in stato di grazia. In Weekend, Haigh non risparmia nulla e filma due corpi innamorati, colti nell’intensità irripetibile di un contatto, oltre che restituiti magnificamente sullo schermo dall’intensa e dedita performance degli attori. Lo fa in maniera schietta e onesta, immortalandoli con poetica purezza ma non rinunciando all’amarezza, alla prosaicità del quotidiano e alla disillusione affettiva, sentimenti che pongono i protagonisti – e tutta la loro generazione – in un perenne stato di subalternità sociale, di marginalità priva di scampo. La sensibilità quasi tattile dello sguardo di Haigh in qualche caso cede il passo al compiacimento e a qualche frangente più “studiato” di altri, attimi in cui l’immediatezza e l’urgenza della confezione lasciano spazio a situazioni più prevedibili e costruite. Innegabile, tuttavia, la grazia, non di rado affilata e spietata, con cui il regista porta a casa la sua storia, non rinunciando a una chiusura tutt’altro che idilliaca, amplificata dalla presenza di una Londra grigia e ostile. Un film-diario, che fa del turpiloquio una questione di stile e di visione sul mondo e inscena una nudità a conti fatti sia interiore che esteriore, metafora di una vita da condurre in maniera di sicuro sofferta, ma non per questo non orgogliosa e resistente. Presentato al South by Southwest, e graziato da una notevole (e un po' eccessiva) fama underground. In Italia l’ha distribuito Teodora Film, con cinque anni di ritardo e sull’onda del successo di 45 anni.
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