Estranei
All of Us Strangers
2023
Paesi
Gran Bretagna, Usa
Generi
Drammatico, Fantasy, Sentimentale
Durata
105 min.
Formato
Colore
Regista
Andrew Haigh
Attori
Andrew Scott
Paul Mescal
Jamie Bell
Claire Foy
Una notte a Londra, in un palazzo semivuoto, Adam (Andrew Scott) fa la conoscenza del suo vicino Harry (Paul Mescal). Inizialmente Adam rifiuta di farlo entrare in casa sua, ma col passare del tempo i due inizieranno una relazione in cui condivideranno passione, fragilità e traumi vissuti. Adam, uno sceneggiatore in cerca di ispirazione, decide intanto di affrontare i fantasmi del suo passato, tornando alla sua casa d’infanzia, oltre trent’anni dopo la morte dei suoi genitori.
Si apre con un riflesso Estranei, quinto lungometraggio per il cinema firmato da Andrew Haigh, regista e sceneggiatore inglese classe 1973. È il riflesso del volto di Adam di fronte alla finestra della sua camera, mentre osserva i grattacieli distanti da lui, uno skyline che è come quella vita che tiene lontana, bloccato nel limbo di un edificio in cui non c’è (quasi) nessun altro, simbolico purgatorio di un’esistenza che non riesce a far pace con il passato per poter guardare finalmente al futuro. È inizialmente solo, Adam, in uno dei più grandi film sulla solitudine dell’intero Nuovo millennio, un’esperienza di visione che ci costringe a guardare dentro di noi (All of Us Strangers è il titolo originale), nei traumi e nell’inconscio, attraverso un coinvolgimento emotivo che raggiunge picchi di commozione in diversi momenti. Non c’è infatti un’escalation di presa empatica nello spettatore o una sequenza da segnalare più di un’altra in Estranei, un’opera che si mantiene miracolosamente su vette straordinarie per tutta la sua durata, grazie a numerosissime scene che andrebbero menzionate per forza nei dialoghi (la conversazione a letto) e scelte di montaggio (la discoteca) perfettamente orchestrate da una regia che ha un controllo millimetrico su tutti i dettagli della messinscena. Non è però soltanto una questione di emozioni e di confezione formale questo lungometraggio che tratta la vulnerabilità umana con una forza e una sincerità semplicemente fuori dal comune. Prendendo spunto dal romanzo omonimo di Taichi Yamada del 1987, Andrew Haigh mette completamente a nudo se stesso e tutti noi, portandoci insieme ad Adam a vivere fragilità e necessità di condividere sensazioni, desideri, bisogni. Un ritorno a una giovinezza non per forza felice, ma anzi carica di tristezze (dal bullismo all’indifferenza) che però rappresentavano tutti i passaggi necessari di una crescita che per il protagonista si è sviluppata improvvisamente dopo essere diventato orfano. Haigh aveva già dimostrato il suo talento nel parlare di omosessualità con una spontaneità esemplare in Weekend (2011), così come ci aveva già fatto entrare nella sua grandezza di scrittura con 45 anni (2015), ma qui si supera firmando un’opera che vale un’intera carriera e, forse, una vita intera. Ad aiutarlo c’è anche un gruppo di attori in stato di grazia: impossibile capire chi sia più monumentale tra Andrew Scott e Paul Mescal, i cui volti sono perfetto simbolo di dolori passati e di speranze di aprirsi finalmente al sentimento. Già, perché è soprattutto un film sull’amore Estranei, un film sull’amore per un possibile partner, per i genitori e soprattutto per noi stessi. The Power of Love, non a caso, è il leimotiv di una pellicola che scorre rapida come il tempo percepito di ascolto di una canzone. Da un’ipotetica strofa solitaria a una chiusura in un verso dove sono tanti gli strumenti a suonare. Adam, infatti, nel finale paradossalmente non è più solo, ma grazie all’amore dei suoi fantasmi ritroverà se stesso arrivando a essere parte integrante dell’intero universo in una sorta di armonia cosmica perfettamente equilibrata, proprio come la resa complessiva di questo film memorabile giocato sulle luci e sulle ombre, sulla gioia e sul dolore, sulla (ri)nascita e sulla morte. Sulla vita, insomma.
Si apre con un riflesso Estranei, quinto lungometraggio per il cinema firmato da Andrew Haigh, regista e sceneggiatore inglese classe 1973. È il riflesso del volto di Adam di fronte alla finestra della sua camera, mentre osserva i grattacieli distanti da lui, uno skyline che è come quella vita che tiene lontana, bloccato nel limbo di un edificio in cui non c’è (quasi) nessun altro, simbolico purgatorio di un’esistenza che non riesce a far pace con il passato per poter guardare finalmente al futuro. È inizialmente solo, Adam, in uno dei più grandi film sulla solitudine dell’intero Nuovo millennio, un’esperienza di visione che ci costringe a guardare dentro di noi (All of Us Strangers è il titolo originale), nei traumi e nell’inconscio, attraverso un coinvolgimento emotivo che raggiunge picchi di commozione in diversi momenti. Non c’è infatti un’escalation di presa empatica nello spettatore o una sequenza da segnalare più di un’altra in Estranei, un’opera che si mantiene miracolosamente su vette straordinarie per tutta la sua durata, grazie a numerosissime scene che andrebbero menzionate per forza nei dialoghi (la conversazione a letto) e scelte di montaggio (la discoteca) perfettamente orchestrate da una regia che ha un controllo millimetrico su tutti i dettagli della messinscena. Non è però soltanto una questione di emozioni e di confezione formale questo lungometraggio che tratta la vulnerabilità umana con una forza e una sincerità semplicemente fuori dal comune. Prendendo spunto dal romanzo omonimo di Taichi Yamada del 1987, Andrew Haigh mette completamente a nudo se stesso e tutti noi, portandoci insieme ad Adam a vivere fragilità e necessità di condividere sensazioni, desideri, bisogni. Un ritorno a una giovinezza non per forza felice, ma anzi carica di tristezze (dal bullismo all’indifferenza) che però rappresentavano tutti i passaggi necessari di una crescita che per il protagonista si è sviluppata improvvisamente dopo essere diventato orfano. Haigh aveva già dimostrato il suo talento nel parlare di omosessualità con una spontaneità esemplare in Weekend (2011), così come ci aveva già fatto entrare nella sua grandezza di scrittura con 45 anni (2015), ma qui si supera firmando un’opera che vale un’intera carriera e, forse, una vita intera. Ad aiutarlo c’è anche un gruppo di attori in stato di grazia: impossibile capire chi sia più monumentale tra Andrew Scott e Paul Mescal, i cui volti sono perfetto simbolo di dolori passati e di speranze di aprirsi finalmente al sentimento. Già, perché è soprattutto un film sull’amore Estranei, un film sull’amore per un possibile partner, per i genitori e soprattutto per noi stessi. The Power of Love, non a caso, è il leimotiv di una pellicola che scorre rapida come il tempo percepito di ascolto di una canzone. Da un’ipotetica strofa solitaria a una chiusura in un verso dove sono tanti gli strumenti a suonare. Adam, infatti, nel finale paradossalmente non è più solo, ma grazie all’amore dei suoi fantasmi ritroverà se stesso arrivando a essere parte integrante dell’intero universo in una sorta di armonia cosmica perfettamente equilibrata, proprio come la resa complessiva di questo film memorabile giocato sulle luci e sulle ombre, sulla gioia e sul dolore, sulla (ri)nascita e sulla morte. Sulla vita, insomma.
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