Settembre 1996: la storica americana Deborah Lipstadt (Rachel Weisz) affronta una dura battaglia legale in cui è stata coinvolta da David Irving (Timothy Spall), famosissimo negazionista esperto di Adolf Hitler. La donna sarà costretta a difendersi dimostrando, attraverso prove tangibili, che l’Olocausto è effettivamente avvenuto.

A diciannove anni da Vulcano – Los Angeles 1997 (1997) e con una lunghissima parentesi di tv movie nel mezzo, Mick Jackson torna a dirigere per il grande schermo una pellicola che narra una delle più complesse, dolorose e articolate vicende degli ultimi decenni. Un processo il cui soggetto, il negazionismo applicato all’Olocausto, diviene materia giuridica necessaria per capire se la storiografia può onestamente essere influenzata dalle convinzioni personali. Un argomento fin troppo delicato per regista e sceneggiatore (David Hare, lo stesso di The Reader – A voce alta del 2008), incapaci di dosare al meglio l’emotività della vicenda e i freddi argomenti con cui deve essere affrontato il tema di base. A risollevare parzialmente il film, un cast ben assortito e in parte, condotto senza fronzoli da un Timothy Spall odioso quanto basta e da un Tom Wilkinson (nel ruolo di Richard Rampton) paladino della giustizia controverso e dedito ai vizi della vita. Rachel Weisz appare un po’ spaesata in una lotta che la vede passiva parte in causa per gran parte della narrazione. Infelice la scelta di usare la sovrimpressione durante i sopralluoghi ad Auschwitz per mostrare i movimenti dei deportati. Presentato tra i film della selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2016.