Blaxploitation: fusione delle due parole inglesi black (nero) ed exploitation (sfruttamento).
I recenti accadimenti inerenti alla morte di George Floyd, con conseguente presa di posizione sulla "libertà" cinematografica e su cancellazioni e reinserimenti più o meno discutibili (si pensi a Via col vento e alla decisione da parte di HBO Max di eliminare temporaneamente il film dal catalogo, salvo poi reintrodurlo con precise indicazioni sul contesto storico) portano alla riflessione su un genere preciso: la blaxploitation. Nato nei primi anni Settanta fu, almeno nelle intenzioni, un mezzo per risollevare le sorti cinematografiche (e non solo) dei personaggi di colore, elevandoli da semplici spalle "ripulite" dal desiderio di integrazione a veri e propri eroi colmati da desiderio di rivalsa verso un mondo che non li accettava né li comprendeva (non a caso, la miccia per la nascita della blaxploitation può essere individuata nelle rivolte dei ghetti afroamericani a metà anni Sessanta e nella battaglia per i diritti civili con la nascita dell'organizzazione Black Panther).
Intenzioni nobili e plasmate su un pubblico afroamericano di riferimento, che però nascondevano un lato più scomodo della medaglia: la stereotipizzazione era sempre e comunque dietro l'angolo (sesso e violenza imperavano, condizionando la linea narrativa di protagonisti e sostituendo tipizzazioni quali Mami del già citato Via col vento e neri "integrati" come il Sidney Poitier di Indovina chi viene a cena?) e il crescente successo aveva posto il genere per buona misura in mano ai bianchi, in barba all'orgoglio di appartenenza e all'autodeterminazione. Un'ambiguità probabilmente inevitabile; in ogni caso, la blaxploitation dominò il panorama cinematografico dai primi anni Settanta fino al 1975-76, periodo dell'avvento della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) che, insieme alla Southern Christian Leadership Conference e alla Urban League, decretò la morte del genere tramite la formazione della Coalition Against Blaxploitation. L'accusa principale era di razzismo, ovviamente, nonché di mettere in cattiva luce la comunità black.
Ma quali furono alcuni dei titoli che segnarono in modo particolare il periodo? La blaxploitation vede il suo avvio nel 1971, anno di Sweet Sweetback’s Baadasssss Song di Melvin Van Peebles (padre di Mario Van Peebles, il quale tentò un rilancio del genere negli anni Novanta con titoli come New Jack City del 1991, protagonista Wesley Snipes): celebre la sua frase «Et voilà, era nata la blaxploitation». Trama: il gigolò Sweetback (Van Peebles), inseguito e perseguitato da poliziotti bianchi, inizia una lunga fuga tentando di raggiungere il Messico. Didascalia di chiusura: «WATCHOUT! A baad asssss nigger is coming back to collect some dues». Sta tutto qui: trama ridotta all'osso e orgoglio nero spinto ai massimi livelli, favorito dal fatto che Van Peebles voleva «fare un film vittorioso, in cui i neri potessero uscire a testa alta».
Il 1971 è anche l'anno di Shaft il detective di Gordon Parks: il detective afroamericano John Shaft (Richard Roundtree) indaga nella città di New York per ritrovare la figlia di un gangster di colore. Secondo una voce diffusa da Van Peebles il protagonista del film, tratto dall'omonimo romanzo di Ernest Tidyman, doveva essere bianco ma il successo di Sweet Sweetback's Baadasssss Song avrebbe condizionato il cambiamento. Thriller metropolitano dalle cadenze noir che accorda una messa in scena sporca a un racconto cupo e violento, Shaft ebbe due seguiti (Shaft colpisce ancora del 1972 e Shaft e i mercanti di schiavi del 1973), che non suscitarono gli entusiasmi del capostipite, una serie TV omonima dedicata tra il 1973 e il 1974 più una sorta di sequel/reboot (Shaft, 2000) con Samuel L. Jackson nei panni del nipote dello Shaft originario/Richard Roundtree, impegnato in un cameo.
«He's black! He's beautiful! He's Blacula!»: questo lo slogan promozionale di Blacula (1972), regia di William Craine. Uno dei titoli più noti del genere, divenuto negli anni cult di riferimento, ha ispirato una serie di film horror-blaxploitation oltre che un sequel, Scream Blacula Scream, diretto nel 1973 da Bob Kelljan. Uscito all'epoca in italia con il titolo Blacula – Il vampiro negro (...), il film ripropone la figura iconica del vampiro virandola verso la questione razziale. Trama: un principe africano (William Marshall) incontra Dracula per protestare contro la tratta degli schiavi ma viene vampirizzato e trasformato in Blacula. Circa due secoli dopo, la sua bara viene portata a Los Angeles, con ovvie conseguenze. Vampiro a Brooklyn (1995), diretto da Wes Craven e interpretato da Eddie Murphy, ha più di un debito nei confronti di questo film.
«This is the end of your rotten life, you motherfuckin' dope pusher!». Coffy (1973), diretto da Jack Hill, lancia un sottofilone della blaxploitation, quello del femminismo, specificatamente black: la protagonista afroamericana Coffy è in cerca di vendetta nei confronti degli spacciatori che hanno provocato la tossicodipendenza della sorella. Vero e proprio cult negli Usa, contribuì a lanciare la sensuale Pam Grier, venerata da Quentin Tarantino.
«Don't mess aroun' with Foxy Brown»: la stella di Pam Grier continua a brillare. Foxy Brown (1974), inizialmente pensato come un sequel di Coffy (Burn, Coffy, Burn!), continua a tracciare la linea femminista della donna forte e indipendente, pronta a fare a pugni e a usare le armi e circondata da uomini inetti e pericolosi. Una vera e propria trascinatrice, che provocò il colpo di fulmine in Quentin Tarantino: il suo Jackie Brown (1997), fin dal titolo, è un omaggio tenero, emozionato ed emozionante alla splendida Grier e all'universo della blaxploitation.
Sara Barbieri