«Non sono un personaggio così pubblico e non racconto mai troppo di me nelle interviste, vivo né più né meno come tutti»
Il 14 maggio 1971 nasce a New York Sofia Coppola, figlia del cineasta Francis Ford Coppola, volto emblema della New Hollywood e firma registica dietro alcuni dei più grandi capolavori della Settima arte.
Interessata in giovane età alla moda, alla fotografia, alla musica e al design, inizialmente Sofia non aveva progettato per sé un futuro da regista. Fu solo dopo aver realizzato il suo primo cortometraggio, Lick the Star (1998), che si rese conto di quanto il cinema potesse racchiudere in sé tutto ciò che più amava.
In occasione del suo compleanno, abbiamo stilato una classifica delle sue tre opere migliori:
Al quarto lungometraggio, Sofia Coppola prosegue la sua poetica aerea e sofisticata indagando l’insicurezza, la fragilità e, in definitiva, la profonda malinconia di un uomo ferito nei sentimenti dalla propria incapacità di rapportarsi alla realtà dei piccoli gesti quotidiani e alle emozioni autentiche. Non una condanna del divismo con tutti gli eccessi che comporta o una scontata autoanalisi ricerca del tempo perduto, bensì un ritratto umanissimo giocato su pochi, significativi dettagli. Leone d’oro a Venezia, non senza polemiche.
2) Lost in Translation – L’amore tradotto (2003)
Navigando tra sentimenti inesprimibili, Sofia Coppola ha messo in scena il casuale incontro di due solitudini in balìa di una realtà che sentono sempre più distante. I protagonisti, costretti a muoversi in un ambiente alieno, multietnico e frenetico, costellato di luci al neon, insegne luminose e superfici riflettenti, che sottolinea la loro inadeguatezza alla vita, sono tratteggiati con invidiabile garbo. Un film di grande atmosfera, calata in un clima di sospensione, dove la parola è subordinata all’immagine, come suggerisce l’intima confessione segreta durante l’abbraccio finale.
Il tocco riconoscibile di Sofia Coppola modella con delicato sguardo autoriale una ricostruzione storica liberissima e vitale, in mirabile equilibrio tra estetica fashion-pop (sottolineata dalla colonna sonora anacronistica che giustappone Vivaldi a New Order, The Strokes, The Cure, Air, Siouxsie & The Banshees) e indagine psicologica sulle fragilità di una giovane donna condannata alla sofferenza in una scintillante gabbia dorata, con il suo carico di pressioni, aspettative e responsabilità. Un intimo ritratto femminile venato di malinconia e sognante romanticismo davvero difficile da dimenticare. Oscar e Nastro d’argento ai costumi di Milena Canonero.