Il 30° anniversario dall'uscita nelle sale americane di Pretty Woman, uscito nelle sale americane il 23 marzo 1990, è l'occasione giusta per le 25 commedie romantiche più significative del nuovo millennio.
Il favoloso mondo di Amelie (Jean-Pierre Jeunet, 2001)
Il favoloso mondo di Amélie mantiene una piccola parte delle intuizioni che avevano reso interessanti Delicatessen (1991) e La città perduta (1995), ma è come se mancasse il coraggio di andare fino in fondo e spingere sul pedale dell'onirismo. Anche qui c'è una nutrita galleria di freaks, a partire dalla bizzarra protagonista con le sue passioni (affondare le mani nei legumi, rompere la crosta della crème brûlée…), fino a comprendere il dirimpettaio afflitto da una rara malattia che lo rende fragile come vetro e i bislacchi avventori del caffè.
La nostra recensione completa, qui.
Il diario di Bridget Jones (Sharon Maguire, 2001)
Tratto dal romanzo omonimo di Helen Fielding, Il diario di Bridget Jones è una commedia sentimentale al femminile, condita con un sense of humor tipicamente british – solo Renée Zellweger è statunitense, anche se l'accento non la tradisce – che talvolta scade nel cattivo gusto, non riuscendo sempre nell'intenzione di divertire. Valore aggiunto è sicuramente l'attrice protagonista, candidata all'Oscar, che interpreta una ragazza rozza, impacciata e pasticciona, ma comunque sognatrice e capace di far immedesimare intere generazioni di spettatrici.
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Ubriaco d’amore (Paul Thomas Anderson, 2002)
Insolita incursione per Paul Thomas Anderson nel genere della commedia romantica. Il regista e sceneggiatore americano racconta ancora una volta la solitudine, l'inadeguatezza alla vita e l'amore (per quanto sui generis) come forza rigenerante e spinta alla sopravvivenza, ma lo fa con uno stile ancor più inebriante e virtuosistico rispetto ai suoi standard, ai limiti del narcisismo compiaciuto. A colpire è la sincera e affettuosa partecipazione con cui l'autore costruisce questa storia d'amore tanto sbilenca quanto dolce.
La nostra recensione completa, qui.
Lost in Translation – L'amore tradotto (Sofia Coppola, 2003)
Il secondo lungometraggio di Sofia Coppola è una delicata pellicola che naviga tra sentimenti inesprimibili, mettendo in scena il casuale incontro di due solitudini in balìa di una realtà che sentono sempre più distante. I protagonisti, costretti a muoversi in un ambiente alieno, multietnico e frenetico, costellato di luci al neon, insegne luminose e superfici riflettenti, che sottolinea la loro inadeguatezza alla vita, sono tratteggiati con invidiabile garbo.
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Love Actually – L'amore davvero (Richard Curtis, 2003)
Un leggerissimo gioco a incastri, profondamente intriso del buonismo tipico delle produzioni natalizie, che, incorniciando le vicende con partenze e arrivi all'aeroporto di Heathrow, offre un quadro sfaccettato delle diverse definizioni di amore. Dai tradimenti ai primi palpiti, dai rapporti di amicizia alle questioni familiari, c'è un po' di tutto e tutto, naturalmente, finisce bene.
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Mai sulla bocca (Alain Resnais, 2003)
Una commedia musicale divertente e spensierata, a tratti frivola, ma dotata di notevoli colpi di genio registici: Alan Resnais sa bene come dirigere i tanti attori a disposizione e come regolare al meglio i tempi di montaggio. La composizione dell'inquadratura è rigorosa, la confezione d'epoca (siamo negli anni Venti del ventesimo secolo) è curata e il ritmo è leggero e brioso.
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Prima ti sposo poi ti rovino (Joel Coen, 2003)
Nella divertita girandola dei generi sviscerati e reinventati nella loro filmografia, questa volta i fratelli Joel e Ethan Coen fronteggiano quello della commedia romantica. Senza puntare troppo in alto, riescono nell'intento: il registro è brillante, la sceneggiatura è autoironica e tagliente, i riferimenti alla contemporaneità ben si amalgamano con un'atmosfera da screwball comedy degli anni Trenta.
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Tutto può succedere – Something's Gotta Give (Nancy Meyers, 2003)
Nancy Meyers gioca sul proprio terreno preferito e costruisce una frizzante, vitale e dignitosa commedia sentimentale in grado di coniugare giovialità e senilità, giocandosi bene, soprattutto nella prima parte, tutti i propri assi nella manica. I battibecchi tra gli attempati protagonisti e le battute al vetriolo che scandiscono l'evoluzione del loro rapporto contribuiscono a dettare un ritmo incalzante e coinvolgente, che però viene meno quando la componente romantica prende un po' inevitabilmente il sopravvento.
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Hitch – Lui sì che capisce le donne (Andy Tennant, 2005)
Da una sceneggiatura di Kevin Bisch, Hitch – Lui sì che capisce le donne è una commedia sentimentale capace di intrattenere senza affidarsi, come ci si poteva aspettare, a volgari doppi sensi sessuali. Il soggetto è divertente, e funziona l'alchimia tra i protagonisti, anche se a lungo andare la narrazione si fa ripetitiva e alla conclusione si arriva col fiato corto.
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Il diavolo veste Prada (David Frankel, 2006)
Meryl Streep è in formissima, e riesce a rendere detestabile il suo personaggio fin dalle prime battute. Anche Anne Hathaway non sfigura, in questa pellicola agrodolce, sfavillante ma dalle tinte amare, che sotto la maschera della commedia romantica non disdegna una forte critica al superficiale mondo della moda.
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L’amore non va in vacanza (Nancy Meyers, 2006)
Commedia romantica dal sottofondo natalizio, L'amore non va in vacanza riesce a intrattenere con garbo e in modo lieve, come ci si aspetta da una pellicola di questo genere. Il merito è soprattutto di un cast indovinato con Kate Winslet, Cameron Diaz, Jack Black e Jude Law efficaci protagonisti, affiancati dalla simpatica presenza di Eli Wallach nei panni del burbero sceneggiatore Arthur Abbott.
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Un'ottima annata – A Good Year (Ridley Scott, 2006)
Un'ottima annata racconta la parabola di redenzione piuttosto prevedibile di un businessman che riscopre se stesso e impara nuovamente a godersi le piccole gioie della vita. L'evoluzione di Max, da uomo senza cuore a tenerone candido e malinconico, è didascalica, così come lo sono gli estetismi di Scott che mette in scena una rappresentazione del sud della Francia eccessivamente patinata.
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Once (John Carney, 2006)
In virtù di un tappeto sonoro di canzoni notevoli e di una messinscena credibile e sincera, Carney compie un piccolo miracolo, conquistando visibilità fuori dai confini dell'Eire e addirittura un Oscar – nel 2008 – per la miglior canzone originale (Falling Slowly). Anomalo sia come musical che come storia d'amore, è una deliziosa commedia dolceamara tutta da ascoltare.
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(500) giorni insieme (Marc Webb, 2009)
(500) giorni insieme è una deliziosa commedia che riflette sull'innamoramento come eterna lotta contro se stessi e sull'errore, così comune, di plasmare il partner secondo le proprie aspettative, finendo per rimanere inevitabilmente delusi. Tecnicamente ineccepibile, dotato di un'interessante struttura a flashback, con trovate citazioniste e visive che rimandano al musical e al videoclip.
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Basta che funzioni (Woody Allen, 2009)
Ponendosi come una mente superiore costretta a confrontare la propria visione d'insieme con la mediocrità del genere umano, il protagonista diventa un magnetico paladino della verità, scevro da ogni compromesso o cliché. Intellettualmente stimolante, corrosivo e comico nella sua critica costruttiva, il film sorprende per l'umanità e l'affetto verso i personaggi che Allen riesce a trasmettere attraverso la storia di due fuggiaschi nel vasto buio dell'universo governato dal caos, capaci di completarsi (forse) a vicenda.
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Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (Woody Allen, 2010)
L'irrinunciabile bisogno psico-fisico di realizzare una pellicola all'anno sembra rivelarsi un'esigenza sempre più difficile da soddisfare per un uomo arrivato a questo punto della propria carriera. Insolitamente patinato anche nella messinscena, il film vive di guizzi gradevoli (la strana coppia Anthony Hopkins-Lucy Punch restituisce con lucidità la superficialità dei sentimenti) e parentesi poco riuscite (il convenzionale ménage tra Naomi Watts e Antonio Banderas, il riscatto professionale di Josh Brolin), senza riuscire a trovare una necessaria compattezza di fondo.
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Crazy, Stupid, Love. (Glenn Ficarra, John Requa, 2011)
Dopo l'esordio con Colpo di fulmine – Il mago della truffa (2009), Glen Ficarra e John Fuqua danno vita, questa volta, a una commedia anticonvenzionale, leggera e godibile. Efficace in diversi momenti, il film è però vittima di troppi passaggi di stanca che causano un ritmo complessivamente altalenante.
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Moonrise Kingdom – Una fuga d'amore (Wes Anderson, 2012)
Fin dal suo esordio Un colpo da dilettanti (1996), l'amore e il romanticismo hanno sempre avuto un posto speciale nelle storie raccontate da Wes Anderson. In Moonrise Kingdom questo aspetto diventa il principale motore delle vicende di tutti i personaggi coinvolti, dal momento che il film ruota intorno alla scoperta dell'amore nella sua forma più pura e semplice (anche se non mancano ammiccamenti sessuali più o meno espliciti) da parte di due pre-adolescenti, stanchi della vita che li circonda e desiderosi solo di trovare un posto tutto per loro nel mondo, il più possibile privato e incontaminato.
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Ruby Sparks (Jonathan Dayton, Valerie Faris, 2012)
Dopo il sorprendente esordio di Little Miss Sunshine (2006), la coppia di registi Jonathan Dayton-Valerie Faris torna dietro la macchina da presa per una pellicola altrettanto riuscita: abbandonate le dinamiche familiari esplorate in precedenza, gli autori si concentrano ora su una “semplice” storia d'amore riuscendone a descrivere in maniera leggera, briosa e divertente sia i caratteri più allegri e gioiosi che le pieghe più tristi e cupe.
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Tutti pazzi per Rose (Régis Roinsard, 2012)
Divertente e brillante esordio dietro la macchina da presa di Régis Roinsard, regista e co-autore della sceneggiatura. Quella che può apparire in superficie come una commedia come tante, è in realtà un “film sportivo” a tutti gli effetti, con un'atleta (la protagonista), un allenatore (il suo capo) e un torneo da vincere.
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Il matrimonio che vorrei (David Frankel, 2012)
Commedia dolceamara, ricca di limiti ma in grado di salvarsi grazie alle buone prove dei tre attori protagonisti, chiamati a sopperire alle tante lacune in sede di sceneggiatura. Godibile a tratti, è un'operazione che poteva dare vita a riflessioni ben più profonde rispetto a quelle, piuttosto edulcorate, che mette in campo.
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Questione di tempo (Richard Curtis, 2013)
Richard Curtis (Love Actually – L'amore davvero, 2003) accentua l'aria di magia, spesso presente nelle pellicole romantiche sotto forma di casualità o destino, attraverso l'espediente del viaggio spazio-temporale, che va ad aggiungersi a tutti gli elementi più tipici delle commedie sentimentali. Il peso della responsabilità, la difficoltà di prendere decisioni importanti che possono influire sul proprio futuro e il richiamo dell'amore sono le tematiche protagoniste, capaci di offrire diversi spunti di riflessione.
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Magic in the Moonlight (Woody Allen, 2014)
Lo spirito "turistico" di chi, a 79 anni e 45 film alle spalle, ha deciso di plasmare le proprie angoscianti nevrosi a favore di un approccio più rilassato verso l'esistenza, non impedisce comunque al piccolo Woody di ritrovare, anche solo parzialmente, quello sguardo sognante che sembrava ormai smarrito: esile, gradevole, frivola, la pellicola, sotto una patina squisitamente retrò, nasconde l'affannoso tentativo di aggiornare una poetica giunta, forse, al capolinea.
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Tutti in piedi (Franck Dubosc, 2018)
Ravvivato da molte improvvise e stralunate massime di saggezza e leggerezza solo apparentemente fuori contesto, il film regge in gran parte grazie alla prova sorniona dell’ottimo protagonista (impagabile la battuta sulle scarpe di Uma Thurman in Kill Bill, legata direttamente, stando ai suoi racconti fanfaroni, al suo lavoro), anche se si perde di tanto in tanto in qualche ghirigoro di troppo.
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Un giorno di pioggia a New York (Woody Allen, 2019)
Messa da parte ogni forma di pessimismo e rassegnazione, in Un giorno di pioggia a New York il cinema di Allen sembra librarsi leggiadro come non accadeva da parecchio tempo, candido e soave nella sua conciliata armonia con cui abbraccia le fini tessiture della miglior commedia romantica hollywoodiana degli anni '30 e '40, tra schermaglie amorose e dialoghi brillanti. Sulla base di un canovaccio orgogliosamente vecchio, appesantito a volte da una nostalgia cinefila e letteraria fin troppo esibita, il film è una mappatura impressionista sul sentimento amoroso, che si lega anche alla ricerca della propria identità, in cui giocano un ruolo cruciale il Tempo e il Caso, due variabili in grado di stravolgere qualsiasi disegno precostituito.
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Il favoloso mondo di Amelie (Jean-Pierre Jeunet, 2001)
Il favoloso mondo di Amélie mantiene una piccola parte delle intuizioni che avevano reso interessanti Delicatessen (1991) e La città perduta (1995), ma è come se mancasse il coraggio di andare fino in fondo e spingere sul pedale dell'onirismo. Anche qui c'è una nutrita galleria di freaks, a partire dalla bizzarra protagonista con le sue passioni (affondare le mani nei legumi, rompere la crosta della crème brûlée…), fino a comprendere il dirimpettaio afflitto da una rara malattia che lo rende fragile come vetro e i bislacchi avventori del caffè.
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Il diario di Bridget Jones (Sharon Maguire, 2001)
Tratto dal romanzo omonimo di Helen Fielding, Il diario di Bridget Jones è una commedia sentimentale al femminile, condita con un sense of humor tipicamente british – solo Renée Zellweger è statunitense, anche se l'accento non la tradisce – che talvolta scade nel cattivo gusto, non riuscendo sempre nell'intenzione di divertire. Valore aggiunto è sicuramente l'attrice protagonista, candidata all'Oscar, che interpreta una ragazza rozza, impacciata e pasticciona, ma comunque sognatrice e capace di far immedesimare intere generazioni di spettatrici.
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Ubriaco d’amore (Paul Thomas Anderson, 2002)
Insolita incursione per Paul Thomas Anderson nel genere della commedia romantica. Il regista e sceneggiatore americano racconta ancora una volta la solitudine, l'inadeguatezza alla vita e l'amore (per quanto sui generis) come forza rigenerante e spinta alla sopravvivenza, ma lo fa con uno stile ancor più inebriante e virtuosistico rispetto ai suoi standard, ai limiti del narcisismo compiaciuto. A colpire è la sincera e affettuosa partecipazione con cui l'autore costruisce questa storia d'amore tanto sbilenca quanto dolce.
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Lost in Translation – L'amore tradotto (Sofia Coppola, 2003)
Il secondo lungometraggio di Sofia Coppola è una delicata pellicola che naviga tra sentimenti inesprimibili, mettendo in scena il casuale incontro di due solitudini in balìa di una realtà che sentono sempre più distante. I protagonisti, costretti a muoversi in un ambiente alieno, multietnico e frenetico, costellato di luci al neon, insegne luminose e superfici riflettenti, che sottolinea la loro inadeguatezza alla vita, sono tratteggiati con invidiabile garbo.
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Love Actually – L'amore davvero (Richard Curtis, 2003)
Un leggerissimo gioco a incastri, profondamente intriso del buonismo tipico delle produzioni natalizie, che, incorniciando le vicende con partenze e arrivi all'aeroporto di Heathrow, offre un quadro sfaccettato delle diverse definizioni di amore. Dai tradimenti ai primi palpiti, dai rapporti di amicizia alle questioni familiari, c'è un po' di tutto e tutto, naturalmente, finisce bene.
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Mai sulla bocca (Alain Resnais, 2003)
Una commedia musicale divertente e spensierata, a tratti frivola, ma dotata di notevoli colpi di genio registici: Alan Resnais sa bene come dirigere i tanti attori a disposizione e come regolare al meglio i tempi di montaggio. La composizione dell'inquadratura è rigorosa, la confezione d'epoca (siamo negli anni Venti del ventesimo secolo) è curata e il ritmo è leggero e brioso.
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Prima ti sposo poi ti rovino (Joel Coen, 2003)
Nella divertita girandola dei generi sviscerati e reinventati nella loro filmografia, questa volta i fratelli Joel e Ethan Coen fronteggiano quello della commedia romantica. Senza puntare troppo in alto, riescono nell'intento: il registro è brillante, la sceneggiatura è autoironica e tagliente, i riferimenti alla contemporaneità ben si amalgamano con un'atmosfera da screwball comedy degli anni Trenta.
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Tutto può succedere – Something's Gotta Give (Nancy Meyers, 2003)
Nancy Meyers gioca sul proprio terreno preferito e costruisce una frizzante, vitale e dignitosa commedia sentimentale in grado di coniugare giovialità e senilità, giocandosi bene, soprattutto nella prima parte, tutti i propri assi nella manica. I battibecchi tra gli attempati protagonisti e le battute al vetriolo che scandiscono l'evoluzione del loro rapporto contribuiscono a dettare un ritmo incalzante e coinvolgente, che però viene meno quando la componente romantica prende un po' inevitabilmente il sopravvento.
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Hitch – Lui sì che capisce le donne (Andy Tennant, 2005)
Da una sceneggiatura di Kevin Bisch, Hitch – Lui sì che capisce le donne è una commedia sentimentale capace di intrattenere senza affidarsi, come ci si poteva aspettare, a volgari doppi sensi sessuali. Il soggetto è divertente, e funziona l'alchimia tra i protagonisti, anche se a lungo andare la narrazione si fa ripetitiva e alla conclusione si arriva col fiato corto.
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Il diavolo veste Prada (David Frankel, 2006)
Meryl Streep è in formissima, e riesce a rendere detestabile il suo personaggio fin dalle prime battute. Anche Anne Hathaway non sfigura, in questa pellicola agrodolce, sfavillante ma dalle tinte amare, che sotto la maschera della commedia romantica non disdegna una forte critica al superficiale mondo della moda.
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L’amore non va in vacanza (Nancy Meyers, 2006)
Commedia romantica dal sottofondo natalizio, L'amore non va in vacanza riesce a intrattenere con garbo e in modo lieve, come ci si aspetta da una pellicola di questo genere. Il merito è soprattutto di un cast indovinato con Kate Winslet, Cameron Diaz, Jack Black e Jude Law efficaci protagonisti, affiancati dalla simpatica presenza di Eli Wallach nei panni del burbero sceneggiatore Arthur Abbott.
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Un'ottima annata – A Good Year (Ridley Scott, 2006)
Un'ottima annata racconta la parabola di redenzione piuttosto prevedibile di un businessman che riscopre se stesso e impara nuovamente a godersi le piccole gioie della vita. L'evoluzione di Max, da uomo senza cuore a tenerone candido e malinconico, è didascalica, così come lo sono gli estetismi di Scott che mette in scena una rappresentazione del sud della Francia eccessivamente patinata.
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Once (John Carney, 2006)
In virtù di un tappeto sonoro di canzoni notevoli e di una messinscena credibile e sincera, Carney compie un piccolo miracolo, conquistando visibilità fuori dai confini dell'Eire e addirittura un Oscar – nel 2008 – per la miglior canzone originale (Falling Slowly). Anomalo sia come musical che come storia d'amore, è una deliziosa commedia dolceamara tutta da ascoltare.
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(500) giorni insieme (Marc Webb, 2009)
(500) giorni insieme è una deliziosa commedia che riflette sull'innamoramento come eterna lotta contro se stessi e sull'errore, così comune, di plasmare il partner secondo le proprie aspettative, finendo per rimanere inevitabilmente delusi. Tecnicamente ineccepibile, dotato di un'interessante struttura a flashback, con trovate citazioniste e visive che rimandano al musical e al videoclip.
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Basta che funzioni (Woody Allen, 2009)
Ponendosi come una mente superiore costretta a confrontare la propria visione d'insieme con la mediocrità del genere umano, il protagonista diventa un magnetico paladino della verità, scevro da ogni compromesso o cliché. Intellettualmente stimolante, corrosivo e comico nella sua critica costruttiva, il film sorprende per l'umanità e l'affetto verso i personaggi che Allen riesce a trasmettere attraverso la storia di due fuggiaschi nel vasto buio dell'universo governato dal caos, capaci di completarsi (forse) a vicenda.
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Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (Woody Allen, 2010)
L'irrinunciabile bisogno psico-fisico di realizzare una pellicola all'anno sembra rivelarsi un'esigenza sempre più difficile da soddisfare per un uomo arrivato a questo punto della propria carriera. Insolitamente patinato anche nella messinscena, il film vive di guizzi gradevoli (la strana coppia Anthony Hopkins-Lucy Punch restituisce con lucidità la superficialità dei sentimenti) e parentesi poco riuscite (il convenzionale ménage tra Naomi Watts e Antonio Banderas, il riscatto professionale di Josh Brolin), senza riuscire a trovare una necessaria compattezza di fondo.
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Crazy, Stupid, Love. (Glenn Ficarra, John Requa, 2011)
Dopo l'esordio con Colpo di fulmine – Il mago della truffa (2009), Glen Ficarra e John Fuqua danno vita, questa volta, a una commedia anticonvenzionale, leggera e godibile. Efficace in diversi momenti, il film è però vittima di troppi passaggi di stanca che causano un ritmo complessivamente altalenante.
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Moonrise Kingdom – Una fuga d'amore (Wes Anderson, 2012)
Fin dal suo esordio Un colpo da dilettanti (1996), l'amore e il romanticismo hanno sempre avuto un posto speciale nelle storie raccontate da Wes Anderson. In Moonrise Kingdom questo aspetto diventa il principale motore delle vicende di tutti i personaggi coinvolti, dal momento che il film ruota intorno alla scoperta dell'amore nella sua forma più pura e semplice (anche se non mancano ammiccamenti sessuali più o meno espliciti) da parte di due pre-adolescenti, stanchi della vita che li circonda e desiderosi solo di trovare un posto tutto per loro nel mondo, il più possibile privato e incontaminato.
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Ruby Sparks (Jonathan Dayton, Valerie Faris, 2012)
Dopo il sorprendente esordio di Little Miss Sunshine (2006), la coppia di registi Jonathan Dayton-Valerie Faris torna dietro la macchina da presa per una pellicola altrettanto riuscita: abbandonate le dinamiche familiari esplorate in precedenza, gli autori si concentrano ora su una “semplice” storia d'amore riuscendone a descrivere in maniera leggera, briosa e divertente sia i caratteri più allegri e gioiosi che le pieghe più tristi e cupe.
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Tutti pazzi per Rose (Régis Roinsard, 2012)
Divertente e brillante esordio dietro la macchina da presa di Régis Roinsard, regista e co-autore della sceneggiatura. Quella che può apparire in superficie come una commedia come tante, è in realtà un “film sportivo” a tutti gli effetti, con un'atleta (la protagonista), un allenatore (il suo capo) e un torneo da vincere.
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Il matrimonio che vorrei (David Frankel, 2012)
Commedia dolceamara, ricca di limiti ma in grado di salvarsi grazie alle buone prove dei tre attori protagonisti, chiamati a sopperire alle tante lacune in sede di sceneggiatura. Godibile a tratti, è un'operazione che poteva dare vita a riflessioni ben più profonde rispetto a quelle, piuttosto edulcorate, che mette in campo.
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Questione di tempo (Richard Curtis, 2013)
Richard Curtis (Love Actually – L'amore davvero, 2003) accentua l'aria di magia, spesso presente nelle pellicole romantiche sotto forma di casualità o destino, attraverso l'espediente del viaggio spazio-temporale, che va ad aggiungersi a tutti gli elementi più tipici delle commedie sentimentali. Il peso della responsabilità, la difficoltà di prendere decisioni importanti che possono influire sul proprio futuro e il richiamo dell'amore sono le tematiche protagoniste, capaci di offrire diversi spunti di riflessione.
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Magic in the Moonlight (Woody Allen, 2014)
Lo spirito "turistico" di chi, a 79 anni e 45 film alle spalle, ha deciso di plasmare le proprie angoscianti nevrosi a favore di un approccio più rilassato verso l'esistenza, non impedisce comunque al piccolo Woody di ritrovare, anche solo parzialmente, quello sguardo sognante che sembrava ormai smarrito: esile, gradevole, frivola, la pellicola, sotto una patina squisitamente retrò, nasconde l'affannoso tentativo di aggiornare una poetica giunta, forse, al capolinea.
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Tutti in piedi (Franck Dubosc, 2018)
Ravvivato da molte improvvise e stralunate massime di saggezza e leggerezza solo apparentemente fuori contesto, il film regge in gran parte grazie alla prova sorniona dell’ottimo protagonista (impagabile la battuta sulle scarpe di Uma Thurman in Kill Bill, legata direttamente, stando ai suoi racconti fanfaroni, al suo lavoro), anche se si perde di tanto in tanto in qualche ghirigoro di troppo.
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Un giorno di pioggia a New York (Woody Allen, 2019)
Messa da parte ogni forma di pessimismo e rassegnazione, in Un giorno di pioggia a New York il cinema di Allen sembra librarsi leggiadro come non accadeva da parecchio tempo, candido e soave nella sua conciliata armonia con cui abbraccia le fini tessiture della miglior commedia romantica hollywoodiana degli anni '30 e '40, tra schermaglie amorose e dialoghi brillanti. Sulla base di un canovaccio orgogliosamente vecchio, appesantito a volte da una nostalgia cinefila e letteraria fin troppo esibita, il film è una mappatura impressionista sul sentimento amoroso, che si lega anche alla ricerca della propria identità, in cui giocano un ruolo cruciale il Tempo e il Caso, due variabili in grado di stravolgere qualsiasi disegno precostituito.
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